Poniamo che il genoma umano di una persona sia archiviato in digitale. E che quella stessa persona sia malata e il suo medico abbia bisogno, per curarla, di consultare il Dna per trovare la terapia ideale. Ma poniamo anche che il genoma sia stato scritto in un formato tale da poter essere letto solo con un software proprietario e che il medico non abbia gli strumenti per leggerlo. Cosa succede? Il malato (o il medico) è costretto ad acquistare un prodotto – magari costoso – per leggere qualcosa di sua proprietà? Oppure occorre scrivere il genoma in un linguaggio comprensibile al medico senza la necessità di comprare nulla? Sono queste alcune delle domande che si porrà la prossima Italian Biotech Law Conference (Iblc), la conferenza scientifica italiana – giunta alla sua terza – edizione che avrà luogo il 5 aprile presso la sede dell’Ifom, Fondazione Istituto Firc di Oncologia Molecolare.
La conferenza avrà come titolo “Chi possiede la bioinformazione?” ed è stata ideata dal giurista informatico avvocato Andrea Monti (da quindici anni impegnato nella difficile impresa di interfacciare high technology e mondo giuridico) per affrontare con approccio interdisciplinare la cosiddetta It e i suoi legami con il diritto, cercando di chiarire che cosa sia la bioinformazione, quali le regole a cui deve sottostare e in che modo le politiche pubbliche affrontano – o non affrontano – un settore dai contorni ancora molto sfumati. “Ciò che sfugge al sentire comune”, spiega Monti, “è che, per com’è strutturata oggi l’informazione e in particolare la bioinformazione, non è necessario possedere un brevetto su un genoma specifico. È sufficiente possedere la gestione dei dati, che ormai sono tutti computerizzati, avere cioè i diritti di utilizzo dei file. Chi li possiede, di fatto, possiede i genomi. L’obiettivo di questo incontro è quindi far dialogare tra loro in una sorta di esperanto professionisti coinvolti nella bioinformazione, i quali di solito non parlano lo stesso linguaggio. Confrontarsi sulle nuove frontiere che le biotecnologie hanno schiuso, di cui la bioinformazione è l’esempio emblematico, rappresenta una necessità sempre più urgente, cui un paese come l’Italia non può e non deve più sottrarsi”.
Durante la conferenza interverranno quindi non solo giuristi ma anche scienziati e ricercatori. È il caso di Andrea Cocito, coordinatore dei sistemi informativi dell’Ifom: “Per la scienza è necessaria una soluzione open source che consenta ai ricercatori di analizzare qualsiasi tipo di bioinformazione. La situazione è però lontana dall’essere ottimale: nella scrittura dei file molto spesso mancano gli standard e quando ci sono, sono proprietari. Servono quindi delle licenze software per leggere le informazioni ma visti i costi (da 500 a migliaia di euro) non tutti i laboratori possono permetterseli”.
Lo scenario che si ha di fronte quindi non è dei più semplici da interpretare. E se le aziende che producono software non scenderanno a patti con la ricerca scientifica si potrebbe passare alle “maniere forti”, per via legale. “Le informazioni contenute in un genoma”, conclude Monti, “possono essere viste come beni soggetti a proprietà: in questo caso si potrebbe chiedere l’esproprio per benefici pubblici”.