Diabete, come funzionano i nuovi tipi di trapianto

Un trapianto biotech di cellule pancreatiche, il primo di questo tipo. La tecnica sperimentata con successo presso il Diabetes Research Institute (Dri) dell’Università di Miami rappresenta un passo significativo verso lo sviluppo di un organo bioingegnerizzato capace di imitare il pancreas. Un risultato importante che apre nuove prospettive nella cura del diabete giovanile, ottenuto anche con il contributo dei ricercatori italiani dell’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (Ismett) di Palermo, dell’ospedale San Raffaele e del Niguarda di Milano. Ma che cos’è il diabete giovanile? Quante sono le persone colpite e cosa potrà cambiare per loro con questa nuova tecnica? Cerchiamo dunque di capirne di più.

Il diabete giovanile
Il diabete giovanile, conosciuto anche come diabete di tipo 1, è una malattia autoimmune. Questo significa che il sistema immunitario di chi ne è colpito riconosce come estranee e attacca fino a distruggerle le cellule del pancreas che producono l’insulina (cellule beta), un ormone importantissimo per il controllo dei livelli di glucosio nel sangue (glicemia). Questo causa un deficit di insulina che obbliga i pazienti a sottoporsi a iniezioni di insulina quotidiane e per tutta la vita per poter regolare la glicemia.

Le persone colpite
Il diabete di tipo 1 è una malattia che colpisce in modo prevalente i giovani: il 3% circa della popolazione mondiale, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il periodo in cui si sviluppa è in genere quello dell’adolescenza ma può manifestarsi anche nei giovani adulti o in bambini molto piccoli. In Italia, secondo uno studio condotto dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Istituto superiore di sanità (Iss), nel quinquennio 2005-2010 il valore medio nazionale del tasso di incidenza nei bambini di 0 – 4 anni di età era pari a 13,4 per 100.000 abitanti e i maschi risultavano più colpiti rispetto alle femmine.

Il trapianto contro il diabete di tipo 1, una novità?
No. Sono molti anni che al Diabetes Research Institute di Miami, con il contributo di scienziati di tutto il mondo, si sperimentano tecniche di trapianto di cellule pancreatiche: sono diversi i pazienti che sottoposti a questo tipo di trapianto non assumono più insulina da circa dieci anni. Con la tecnica finora utilizzata, il trapianto veniva effettuato infondendo le cellule pancreatiche nel fegato ma, in questa sede, il contatto con il sangue provoca una reazione infiammatoria che danneggia le cellule trapiantate: questo ha spinto i ricercatori verso l’identificazione e lo sviluppo di una diversa tecnica di trapianto.

La “simulazione” del pancreas, la nuova tecnica
La creazione di un pancreas in miniatura, è questa la novità. Come spiega il direttore del Dri Camillo Ricordi, le cellule sono state trapiantate in laparoscopia (chirurgia minimamente invasiva), utilizzando tecniche di ingegneria tissulare, all’interno di un’impalcatura biologica. Si tratta di una struttura costituita da plasma del paziente e da un enzima (trombina): uniti formano una sostanza gelatinosa che mantiene le cellule in sede e intatte. Mentre si formano vasi sanguigni nuovi necessari a fornire nutrienti e ossigeno indispensabili alla loro sopravvivenza, questa impalcatura gradualmente si riassorbe sulla superficie del tessuto che riveste gli organi addominali (omento). Questa sede, avendo lo stesso apporto di sangue e uguali caratteristiche di drenaggio del pancreas, consente di contenere la reazione infiammatoria e conseguentemente il danno alle cellule trapiantate.

Le prospettive future
Questa nuova modalità di trapianto, attualmente in studio su un numero limitato di pazienti (fase I e II della ricerca), può offrire grandi opportunità di cura dei pazienti diabetici secondo gli esperti del settore che proprio per questo ne seguono lo sviluppo con grande interesse.

Credits immagine: ReSurge International/Flickr CC

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