Anamnesi. Compilazione della cartella clinica. Confronto con casi analoghi. Ricerca in letteratura. E tanta esperienza. Formulare la diagnosi giusta richiede molta perizia e soprattutto la capacità, per dirla alla Steve Jobs, di “connettere puntini” apparentemente lontani tra loro. Capacità in cui ormai eccellono le intelligenze artificiali, in grado di masticare enormi moli di dati e cercare, al loro interno, pattern e connessioni nascosti. Con risultati, a volte, addirittura migliori delle loro controparti umane: è il caso, per esempio, di un software messo a punto da Kang Zhang e colleghi, esperti della University of California, San Diego, che hanno dato in pasto a un’intelligenza artificiale i dati di quasi un milione e mezzo di pazienti pediatrici, visitati in un ospedale di Guangzhou, in Cina, tra il gennaio 2016 e il gennaio 2017. E l’algoritmo, dicono su Nature Medicine, si è rivelato in grado di eseguire la corretta diagnosi con un’accuratezza superiore, in media, rispetto a quella di pediatri umani all’inizio della professione. Niente male.
L’arte della diagnosi insegnata alle macchine
I record analizzati dal software, si spiega nel paper, comprendevano sia testi scritti dai medici che risultati di test di laboratorio ed esami strumentali. Per agevolare l’apprendimento dell’intelligenza artificiale, Zhang e colleghi hanno evidenziato “a mano”, in ciascuna cartella clinica, quali pagine contenevano dettagli sulla sintomatologia, quali sull’anamnesi e quali sui risultati degli esami, e hanno poi mostrato al computer la diagnosi formulata dal medico. Dopo la fase di “allenamento”, il software ha provato a esprimere la propria diagnosi su casi in cui non conosceva quella formulata dal pediatra. Si trattava, per lo più, di mononucleosi, rosolia, influenza, varicella e afta epizootica: ebbene, l’intelligenza artificiale ha azzeccato la diagnosi giusta con un’accuratezza compresa tra il 90 e il 97%.
“Non è perfetto. Ma neanche i medici umani lo sono”, spiega Zhang. “Nei giorni particolarmente pieni, i pediatri arrivano a vedere anche 80 pazienti al giorno: è in queste situazioni che è più probabile commettere errori. L’intelligenza artificiale, di contro, non ha bisogno di dormire, ha una memoria pressoché infinita e non perde concentrazione”. Il team ha comparato l’accuratezza del modello con quella delle diagnosi formulate da 20 pediatri con diverse esperienze: ne è venuto fuori che l’intelligenza artificiale si è comportata meglio rispetto ai pediatri meno esperti, ma i clinici “senior” sono quelli che hanno ottenuto punteggi migliori. Secondo Zhang, il software potrebbe essere utilizzato per aiutare i medici nelle operazioni di triage nei pronto soccorso: “Se ha a disposizione dati sufficienti, l’intelligenza artificiale dovrebbe essere in grado di discriminare tra una situazione urgente, che necessita di trattamento immediato, e una differibile”.
Verso una medicina senza medici?
Per quanto capace sia l’Ia, comunque, al momento l’intervento umano è ancora necessario: Chris Russell, esperto dello Alan Turing Institute di Londra (che non ha lavorato allo studio), ha spiegato al New Scientist che, prima di essere trasmessi agli algoritmi, i record medici devano ancora essere processati da professionisti umani, e che la loro competenza è un tratto cruciale per una diagnosi corretta: “Deve essere presente un essere umano che valuta i sintomi e li inserisce nel computer. Non vedo un modo di usare questa tecnologia escludendo i medici. Può essere un valido aiuto, ma siamo ancora ben lontani dalla sostituzione degli esseri umani”. L’équipe di Zhang sta ora cercando di usare lo stesso approccio per la diagnostica in pazienti in età adulta: staremo a vedere. Via: Medicina Digitale