Vivono di più o vivono di meno? Questo il dilemma di due gruppi di ricerca americani, quando hanno confrontato per la prima volta i risultati dei loro esperimenti di restrizione calorica (RC) condotti in parallelo sui macachi Rhesus, scimmie molto simili all’essere umano. Peso, incremento del grasso corporeo, incidenza di alcune malattie e tasso di mortalità nei macachi sono stati monitorati per circa 30 anni in entrambi gli studi. Ma con risultati opposti. Le scimmie dell’Università del Wisconsin (UW) sottoposte a un regime calorico controllato sono vissute più a lungo delle loro compagne alimentate a volontà. Gli studiosi del National Institute of Aging (Nia) di Baltimora invece, non hanno riscontrato alcun aumento significativo (piuttosto una leggera diminuzione) dell’età media delle scimmie messe a dieta. Entrambi gli studi concordavano tuttavia sull’effetto positivo della restrizione calorica sulla salute delle scimmie. Ma anche qualcosa di più.
La collaborazione dei due gruppi ha permesso infatti di risolvere la controversia e portato concludere che la restrizione calorica nei macachi non solo riduce il rischio legato all’età di sviluppare patologie come malattie cardiovascolari o resistenza all’insulina, ma allunga, effettivamente, anche la vita. I nuovi risultati sono stati pubblicati su Nature Communications e richiamano alla mente gli studi dell’italiano Valter Longo su dieta e invecchiamento.
Come è stato possibile riconciliare due risultati (parzialmente) contrastanti? L’analisi trasversale congiunta condotta dai due team ha evidenziato una serie differenze “di protocollo” nei due esperimenti, che in totale hanno interessato circa 200 macachi. Ecco le principali.
Sia al NIA che all’UW le scimmie “a dieta” assumevano il 30% di calorie in meno delle scimmie “di controllo”, ma al NIA le scimmie venivano alimentate con cibi naturali a più basso contenuto di zuccheri. Di conseguenza, le scimmie “di controllo” del NIA erano meno grasse di quelle UW: la qualità del cibo va tenuta in considerazione quanto la quantità.
Al NIA sono stati sottoposti a RC anche macachi non ancora adulti all’inizio dello studio, e macachi anziani: raggruppando i dati per fascia d’età, gli scienziati hanno concluso che la RC comporta benefici negli adulti e in misura leggermente minore negli anziani, ma in individui molto giovani può non essere ben tollerata, soprattutto nei maschi.
Differenze di genere non erano state osservate in esperimenti condotti su roditori, per i quali inoltre l’applicazione della RC in giovanissima età sembra essere più vantaggiosa.
I benefici della RC erano stati evidenziati in precedenza anche da studi su organismi semplici come lieviti o invertebrati, ma la trasferibilità dei risultati di tali studi all’essere umano rimane una questione aperta. I macachi invece condividono con l’uomo il 93% del patrimonio genetico: “È quindi molto verosimile che gli effetti positivi della RC si osservino anche negli uomini”, dicono gli autori.
Riferimenti:Nature Communications