Dipendenza emotiva

La dipendenza da sostanze stupefacenti, in particolare da oppiacei, non è condizionata solo dalla mancanza organica della droga, ma soprattutto dal contesto ambientale. Sarebbe infatti il legame emotivo con determinati luoghi, persone e circostanze ad attivare la crisi d’astinenza. Un po’ come avviene per il caffè che, nei fumatori, immancabilmente si associa al bisogno della sigaretta. E’ questo il risultato di uno studio condotto dai ricercatori della University of Cambridge, Gran Bretagna, e presentato questa settimana su Nature.

Vedere le persone con cui solitamente si spartisce la dose, ritrovarsi in luoghi abituali e in determinate ore, sono tutti stimoli “evocativi” per il tossicodipendente. Qualcosa di analogo al condizionamento pavloviano: negli esperimenti condotti da Pavlov sui cani, la somministrazione del cibo veniva ripetutamente associata al suono di un campanello. Tanto che, dopo qualche tempo, bastava il solo stimolo sonoro per provocare la salivazione negli animali.

Allo stesso modo sono le circostanze con una forte connotazione emotiva a determinare la crisi d’astinenza. L’équipe diretta dal professor Barry Everitt, del Dipartimento di psicologia sperimentale, ha infatti dimostrato che, provocando lesioni nelle aree cerebrali che controllano le reazioni emotive, gli effetti del condizionamento ambientale si annullano. L’esperimento, condotto sui topi, ha prodotto risultati inconfutabili: nelle cavie con lesioni all’amigdala – organo che in qualche modo “controlla” le emozioni – il condizionamento ambientale scompare progressivamente nell’arco di un mese. E con esso la dipendenza dagli oppiacei.

Quali però le applicazioni sull’uomo? L’ipotesi di interventi lesivi dei tessuti cerebrali sui tossicodipendenti suona infatti sinistra. E improponibile eticamente. Alberto Oliverio, docente di Psicobiologia all’Università La Sapienza di Roma, rifiuta infatti con decisione la possibilità di simili scenari inquietanti, mentre apprezza il valore squisitamente scientifico della scoperta: “Credo che l’unico scopo dello studio sia quello di dimostrare il ruolo dell’amigdala nell’associazione emotiva di condizioni ambientali e di dipendenza da sostanze stupefacenti”.

L’amigdala, all’interno del cervello, svolge una funzione di controllo su tutte le attività del sistema nervoso simpatico: non solo regola le risposte emotive, ma bilancia anche molte attività vegetative, come ad esempio le reazioni allo stress. Un intervento lesivo, come quello operato dai ricercatori inglesi, comporterebbe quindi scompensi di vasta portata nella sfera emotiva e neurovegetativa.

Un’ipotesi più plausibile potrebbe essere allora quella di un intervento farmacologico mirato, per inibire solo le reazioni emotive agli stimoli evocativi senza però danneggiare le altre funzioni dell’amigdala. Ma anche in questo caso Oliverio è scettico: “Inibire le emozioni? Forse. Personalmente ritengo però che peggiorerebbe la situazione: si aumenterebbe infatti così il risvolto depressivo, solitamente molto forte nei tossicodipendenti”.

Più duro il commento di Aldo Carotenuto, docente di Psicologia della personalità all’Università La Sapienza di Roma: “Questo di Nature è il solito studio che cerca di trovare, a tutti i costi, un risvolto organico dei problemi legati esclusivamente a un disagio psichico. La tossicodipendenza produce effetti di natura organica, ma è originata soltanto da problemi di natura esistenziale e relazionale”. E aggiunge: “Non si può pensare di regolare le emozioni con un farmaco o peggio ancora con interventi lesivi ai danni del cervello. Non solo non sarebbe curativo, ma sarebbe una grave limitazione della libertà umana”.

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