In una goccia di miele si può leggere tutta la sua storia, dal fiore all’alveare, e anche quella dell’ambiente in cui è stato prodotto. Tracce di piante, di api e altri insetti, di funghi e persino di virus e batteri sono state individuate nel miele da un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna grazie ad un innovativo metodo di analisi del DNA. Una metodologia bioinformatica sviluppata ad hoc che permette di individuare e attribuire centinaia di migliaia di frammenti di DNA.
Non solo polline nel bottino delle api
Le api bottinatrici esplorano in modo capillare e sistematico il territorio, fino a un raggio di 10 chilometri dall’alveare. Nel corso di questo girovagare raccolgono nettare o melata dai fiori ma finiscono anche per catturare resti di tanti altri organismi presenti nell’ambiente. Il DNA del miele è dunque un “DNA ambientale”: al suo interno ci sono le impronte genetiche di tutti gli organismi entrati in contatto con le api durante le loro peregrinazioni di fiore in fiore.
La nuova metodologia
Individuare centinaia di migliaia di frammenti di DNA dispersi nel miele e risalire agli organismi da cui provengono non è certo banale. In un articolo pubblicato sulla rivista PLOS ONE, i ricercatori dell’Università di Bologna spiegano di essere riusciti a decifrare il complesso patrimonio genetico contenuto nel miele grazie al next generation sequencing, una tecnologia che permette di sequenziare in parallelo milioni di frammenti di DNA. “Il nostro sistema di analisi comprende una metodologia bioinformatica costruita ad hoc per individuare a quali organismi appartengono le centinaia di migliaia di sequenze ottenute”, spiega Samuele Bovo, uno degli autori dello studio.
Tutto il DNA del miele
Grazie a questa tecnica i ricercatori sono riusciti a identificare tracce appartenenti ad organismi di tutti i regni biologici che direttamente o indirettamente fanno parte del processo di produzione del miele, dal nettare alla maturazione nei favi. Moltissime, ovviamente, quelle provenienti dal polline dei fiori e lasciate dalle api bottinatrici, e anche dagli insetti produttori di melata, altro ingrediente fondamentale per la “ricetta” del miele. Presenti anche tracce della varroa, un parassita che vive dentro le colonie muovendo tra i favi, e di diversi altri organismi invertebrati che possono creare problemi alle colture agrarie. E poi sequenze di funghi, batteri e virus, alcuni dei quali possono causare malattie alle piante o alle stesse api.
Ma il DNA del miele è anche una fotografia delle sue molte proprietà benefiche: “Alcuni microrganismi che lasciano tracce nel miele contribuiscono alla formazione delle sue caratteristiche organolettiche e alle proprietà curative che vengono attribuite a questo alimento”, conclude Fontanesi. “Nel miele analizzato, per esempio, abbiamo trovato tracce di lieviti che sono considerati produttori naturali di sostanze ad effetto antibiotico”.
Una metodologia, tante applicazioni
“Le tante tracce di DNA che abbiamo trovato possono essere lette e analizzate per scopi diversi”, spiega Luca Fontanesi, coordinatore dello studio pubblicato su Plos One. Per esempio, per certificarne la provenienza botanica e geografica del miele ed evitare possibili frodi o per controllare lo stato di salute delle colonie di api. “Una notevole percentuale delle sequenze che abbiamo individuato”, va avanti il ricercatore, “sono state inaspettatamente assegnate ad un virus, non ancora ben studiato, che colpisce le api”. L’analisi del DNA ambientale, inoltre, permette di monitorare la presenza e la diffusione di organismi responsabili di malattie delle piante, con risvolti importanti per i sistemi di sorveglianza fitosanitaria e di valutazione epidemiologica”.
Riferimenti: Plos One