Quasi tutti gli europei autoctoni discendono da almeno tre grandi migrazioni risalenti agli ultimi 15.000 anni, racconta Science. Una lunga storia di spostamenti e di popoli che hanno attraversato tutta l’Europa, mescolandosi e riproducendosi. Attraverso rivoluzionari metodi di analisi del DNA e degli isotopi presenti nelle ossa e nei denti di antichi scheletri, gli scienziati mostrano che le popolazioni il cui trascorso non è stato contaminato da aggrovigliate migrazioni sono ben poche. “Grazie a questi studi – commenta a Galileo Guido Barbujani, genetista e docente presso l’Università di Ferrara – abbiamo capito che a contare è l’individuo e il suo genoma, non l’etichetta, etnica o razziale che ci si appiccica sopra”.
La genetica ha indagato l’esistenza delle ‘razze’ umane già dagli anni Settanta. All’epoca, il genetista americano Richard Lewontin, con lo studio “La ripartizione della diversità umana”, eseguì un’analisi sulla variazione delle proteine di 17 geni all’interno delle sette cosiddette razze considerate a quel tempo. I risultati mostrarono che le differenze geniche sono soltanto del 7%, mentre all’interno di ciascuna “razza” la variabilità è di circa l’85%. Dati che mostravano come solo una piccola percentuale sia alla base delle differenze somatiche tra le varie etnie.
Negli anni a venire, gli innovativi metodi di analisi hanno continuato a mettere in luce risultati che hanno fatto perdere sempre più consistenza all’idea della diversità razziale. Tuttavia, le prove scientifiche si scontrano con le attuali divisioni tra le popolazioni di alcune aree geografiche. Un esempio sono le indagini sulle origini dei Filistei, antico popolo che si stanziò sulle coste della Palestina. I ricercatori hanno studiato manufatti e resti di antiche città filistee in Israele, riscontrando che erano un gruppo eterogeneo di immigrati. Secondo uno studio del 2000 sui cromosomi Y, ereditati dalla linea paterna, quei popoli oggi così contrapposti sono dal punto di vista genetico strettamente correlati. Il 70% degli uomini ebrei e la metà degli uomini arabi hanno ereditato i loro cromosomi Y dallo stesso insieme di antenati paterni che hanno vissuto in Medio Oriente negli ultimi mille anni.
La scienza ci dice quindi che siamo tutti parenti, discendenti dagli stessi antenati africani che hanno colonizzato in poche migliaia di anni tutto il pianeta. “Che i nostri DNA, nel complesso, siano vestiti di Arlecchino, con componenti che provengono da tutto il mondo, lo sappiamo bene”, dice Barbujani. “A quanto pare, però, continuiamo a fare al DNA domande a cui non può rispondere. Le nostre varianti genetiche si possono dividere in due categorie: quelle rare, tipiche di una o poche popolazioni, e quelle comuni, che troviamo in più continenti, o in tutti. Uno studio pubblicato nel 2015 dal consorzio 1000 Genomes mostra che le prime sono appena un 5-10% del totale, un po’ di più in Africa. Tutte le altre ci dicono poco o niente sulle nostre origini individuali, e costruirci sopra un’identità etnica significa riproporre, magari involontariamente, i miti di purezza per cui ogni popolo ha una sua identità biologica ben definita”.
Oggi è addirittura possibile indagare da soli sulle proprie origini: basta un click per ordinare un kit che, grazie a un campione di saliva, ripercorre il viaggio delle nostre cellule ancestrali lungo tutti i continenti. A lanciare il messaggio che siano molte di più le cose che ci uniscono piuttosto che dividerci è stata anche la piattaforma online momondo.it, che con un video vitrale ha lanciato il concorso “The Dna journey” mettendo in palio 30 kit del Dna. Un progetto nato con la missione di rendere il mondo più aperto, promuovendo il viaggio come strumento per abbattere i confini e aprire le menti.
Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma