Docenti in piazza

La Minerva è listata a lutto. Il simbolo dell’ateneo romano “La Sapienza” non poteva rimanere escluso dalla giornata di sciopero indetta dai docenti dell’università e dalla manifestazione che si è tenuta oggi davanti al Rettorato. “Chiediamo che le istituzioni universitarie siano interpellate e che il nuovo assetto dell’università non sia deciso a tavolino”, hanno affermato i ricercatori in mobilitazione. Gli fanno eco i loro colleghi di altri atenei, come Padova e Trieste. Docenti, ricercatori, dottorati e dottorandi protestano contro il disegno di legge delega sul “Riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari” presentato dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) Letizia Moratti e già approvato dal Consiglio dei Ministri. Il provvedimento, stilato da una commissione di 13 esperti, tutti professori ordinari negli atenei italiani, dovrà essere sottoposto nelle prossime settimane al vaglio del Parlamento. Quello che è certo, però, è che il d.d.l. non ha passato l’esame più importante: quello del mondo accademico. “Così si rischia di affossare la ricerca e di accrescere la fuga dei nostri cervelli verso i paesi esteri” è stato il commento dei 77 rettori delle università italiane che formano la Conferenza dei Rettori universitari italiani (Crui). Ricercatori sostituiti dai co.co.co., ritorno ai concorsi nazionali e aumento delle ore dedicate alla didattica. Sono queste alcune delle novità previste dalla riforma Moratti. Ma il punto più controverso appare quello che riguarda i ricercatori. Il ruolo andrà ad esaurimento, cioè chi finisce non verrà sostituito. Al loro posto saranno impiegati giovani laureati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) di cinque anni, rinnovabili una sola volta. E con un stipendio di circa 1.000 euro al mese. “I ricercatori coprono il 45 per cento della didattica”, afferma Marco Merafina, rappresentante dei ricercatori nel Consiglio di amministrazione dell’ateneo romano e fra i promotori della manifestazione odierna, “eppure siamo i più penalizzati dalla riforma che inserisce un periodo di precariato oltre a quello già lungo che il ricercatore vive dopo la laurea. Ciò non succede in nessun altro Paese”. Oggi un posto permanente da ricercatore si conquista tra i 35 e i 40 anni. Bisogna poi attendere tre anni per la conferma e poi si possono fare i concorsi per avanzare di carriera, cioè per diventare professore associato e poi ordinario. Inserendo altri dieci anni di contratti co.co.co si arriva all’età di 50 anni. “Dieci anni di precariato da ricercatore, più sei da associato e ancora sei da ordinario fanno 22 anni di precariato”, continua Merafina, “cioè più della metà della vita lavorativa, che per noi è minore di quella degli altri lavori perché a 65-70 anni si deve andare in pensione per raggiunti limiti di età. Quale sarà la pensione di chi vuole fare carriera nell’università?”.Nessun cenno, infatti, nel d.d.l. ai contributi previdenziali degli assunti con questi contratti, che non sono certo paragonabili a quelli previsti per un dipendente a tempo determinato. Il prelievo contributivo è infatti circa la metà di quello dei lavoratori dipendenti, con una erosione della futura pensione. Inoltre i collaboratori coordinati e continuavi non hanno diritto, per esempio, al trattamento di fine rapporto, alla tredicesima, alla tutela per maternità o all’indennità per astensione facoltativa. Data questa situazione è chiaro che la spinta verso i paesi esteri, dove le strutture sono migliori e le condizioni economiche più vantaggiose, sarà maggiore. “I contratti non saranno co.co.co. come è stato scritto per sbaglio nella legge”, ha ammesso Fabio Roversi Monaco, uno dei saggi della Moratti in un’intervista al “Messaggero” del 30 gennaio scorso, senza però spiegare quale sarà l’alternativa a questa forma di contratto. E la selezione iniziale con cui i ricercatori devono essere assunti resta tutta da specificare. Se i nuovi ricercatori non saranno assunti tramite concorso, quali saranno i criteri di selezione? A questa e ad altre domande Antonio Cataudella, membro della commissione Moratti, interpellato, ha preferito non rispondere: “a tutti noi è stato consigliato di non parlare con la stampa”.

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