Dimentichiamo lo stereotipo dell’uomo esploratore e della donna stanziale: sul finire dell’età della pietra, nell’Europa Centrale, donne viaggiatrici percorrevano centinaia di chilometri per raggiungere villaggi lontani, portando con sé preziose informazioni sugli aspetti tecnologici e culturali dei loro luoghi d’origine e diffondendo così nuove conoscenze. Tracce di questa caratteristica interessante e inattesa della vita sociale di 4000 anni fa erano nascoste nei cimiteri preistorici della fertile valle del fiume Lech, nel sud della Baviera (Germania). A svelarle, il lavoro multidisciplinare di un gruppo di archeologi tedeschi, i cui risultati sono stati pubblicati su PNAS. Gli studiosi hanno combinato indagini archeologiche con analisi del DNA mitocondriale (mDNA) e del contenuto di isotopi di ossigeno e stronzio dei resti di 83 umani preistorici risalenti agli anni tra il 2500 e 1650a.C., riuscendo così a tracciarne le origini e l’evoluzione culturale.
L’analisi del DNA mitocondriale ha permesso di evidenziare la linea di discendenza femminile degli individui appartenenti a diversi siti della valle bavarese. Complessivamente, su 80 mDNA analizzati gli archeologi hanno distinto 61 aplotipi diversi e solo 13 aplotipi comuni, indice di discendenza materna diretta, alcuni dei quali tra coppie di individui sepolti in siti diversi. Tale elevata varietà genetica potrebbe essere spiegata con l’arrivo nei villaggi di donne provenienti da aree diverse da quella del Lech.
Conferma di questa ipotesi è stata ottenuta attraverso l’analisi degli isotopi di Stronzio 87 e 86 rilevati sui molari. A differenza dello stronzio 86, lo stronzio 87 è prodotto dal decadimento di un altro elemento, il rubidio 87, ed è presente in maggiori quantità nelle rocce più antiche. Nelle stesse proporzioni esso si accumula nel suolo e da lì nei vegetali, ed entrato in tal modo nella catena alimentare, nelle ossa e sullo smalto dei denti, dove si sostituisce in parte al calcio. Dal momento che lo smalto si forma durante l’infanzia, dal confronto tra il rapporto tra i quantitativi di Sn87 e Sn86 presente sui denti e quello delle rocce di una certa area è possibile determinare i luoghi nei quali un individuo ha trascorso i suoi primi anni di vita.
L’analisi degli isotopi ha portato a identificare come non autoctone 17 delle 28 donne adulte, e solo 3 uomini adulti su 27. Sembrerebbe dunque che per le donne dell’epoca fosse abituale spostarsi dalla propria regione di nascita in altri villaggi, distanti anche centinaia di chilometri e lì stabilirsi. Le “straniere” si integravano perfettamente nelle nuove comunità, come dimostra l’omogeneità delle sepolture ritrovate nella valle del Lech, anche se di queste donne non sono stati identificati discendenti diretti. Alla mobilità delle donne avrebbe fatto da contrasto la stanzialità degli uomini, che sembrerebbero aver trascorso tutta la vita nel proprio luogo d’origine.
Le differenze genetiche riscontrate negli mDNA delle necropoli della Lechtal sarebbero inoltre frutto di spostamenti individuali e non di migrazioni di massa, un fenomeno non inusuale nell’Europa Centrale tra il terzo e il secondo millennio a.C., probabilmente guidato da pratiche di esogamia.
Il fenomeno delle migrazioni individuali – soprattutto femminili – avrebbe interessato la valle del Lech per almeno 800 anni, dalla fine del Neolitico all’inizio dell’età del bronzo, con donne provenienti dalla Boemia o dalla Germania centrale. La scoperta getta nuova luce sulle dinamiche familiari e culturali dell’epoca e porterebbe a speculare che questo sistema patrilocale – in cui sono le donne a spostarsi per vivere nella casa d’origine dei mariti – abbia contribuito a dare nuovo impulso agli scambi culturali tra villaggi lontani.
Riferimenti: PNAS