Da cosa sono provocati i gamma ray burst, i cataclismi energetici che arrivano fino a noi dalle profondità remote dell’Universo sotto forma di lampi di raggi gamma? Sulla loro origine i ricercatori discutono da tempo. Ora un gruppo di ricerca italo-olandese sembra aver finalmente risolto parte dell’enigma: i gamma ray burst sarebbero prodotti dal collasso di residui densissimi lasciati dalle esplosioni delle supernovae. L’atteso “dato mancante” è arrivato dall’occhio a raggi X del satellite italiano BeppoSax. Il 5 luglio del 1999 Sax è stato puntato su un lampo gamma particolarmente intenso, avvenuto nella direzione della Grande nube di Magellano. Dopo più di un anno di studi e di analisi dei dati sperimentali raccolti, il risultato pubblicato la scorsa settimana su Science potrebbe rappresentare una specie di “stele di Rosetta cosmologica”, la chiave per interpretare il linguaggio dei lampi gamma.
Da quando, nel luglio del 1967, è stato avvistato il primo lampo gamma, gli scienziati hanno architettato e smantellato innumerevoli ipotesi e modelli, senza mai trovare alcuna conferma sperimentale definitiva. Con gli anni, le posizioni si sono arroccate attorno a due modelli fondamentali: quello della fusione di un sistema binario formato da due oggetti massivi (due stelle di neutroni, o due buchi neri, o un buco nero e una stella di neutroni), e quello del collasso ed esplosione di un unico astro supermassivo.
Lanciato nello spazio il 30 aprile 1996, BeppoSax (Satellite per Astronomia X intitolato al fisico italiano Giuseppe “Beppo” Occhialini) misura l’intensità delle emissioni elettromagnetiche degli eventi stellari nello spettro dei raggi X. La peculiarità di BeppoSax è data dal suo doppio sistema di puntamento, costituito da strumenti “a campo largo” e strumenti “a campo stretto”. I primi, meno sensibili, ma in grado di esplorare una grande porzione del cielo, vedono le emissioni ad alta energia (da 2 a 700 keV) corrispondenti ai primi istanti di vita del lampo gamma. I secondi rilevano le energie più basse (da 0,1 a 200 keV) emesse nelle ore successive all’evento (il cosiddetto afterglow o post-luminescenza). Così, quando da qualche parte nell’Universo scoppia un lampo gamma, gli strumenti a campo largo lo intercettano e permettono ai ricercatori di puntare con maggiore precisione il satellite, per seguire in dettaglio anche le fasi successive del fenomeno.
Nell’evento del luglio 1999, gli scienziati hanno seguito i primi 80 secondi di vita del lampo e hanno scoperto che il grafico dello spettro dell’emissione X aveva una “depressione” in corrispondenza delle frequenze di assorbimento del ferro. Questo significa che i raggi X emessi dal lampo hanno attraversato una regione dello spazio molto ricca di ferro che ha filtrato la radiazione assorbendone una parte. Ma il ferro non è un materiale che si trova comunemente nello spazio. È un elemento pesante. Ed è il tipico segnale dell’avvenuta esplosione di una supernova.
Se una supernova è effettivamente esplosa nei dintorni spazio-temporali del lampo, forse i due eventi sono correlati. Innanzitutto i ricercatori hanno dovuto dimostrare che la nube interstellare di ferro non si trovava per puro caso sulla traiettoria del lampo. Calcoli alla mano hanno appurato che i valori osservati e la dinamica dell’assorbimento non concordano con un “allineamento casuale”: il ferro incontrato dalla radiazione doveva provenire dalla stessa regione da dove era partito il lampo.
Secondo quesito: come mai la nube metallica si è trovata fra l’occhio di Sax e la sorgente gamma (cioè all’esterno del punto di emissione del lampo), come se l’esplosione della supernova che aveva prodotto il ferro fosse avvenuta prima dello scoppio del lampo? La spiegazione più semplice, secondo Filippo Frontera, astrofisico all’Università di Ferrara e autore dell’articolo di Science, è data da un modello che descrive l’esplosione di una supernova. Dopo aver espulso nello spazio gli elementi pesanti, una supernova lascia un nucleo residuo molto denso che può impiegare un certo tempo prima di collassare in un buco nero. Solo quando il collasso è avvenuto, si produce l’energia necessaria per far partire il lampo gamma. Giusto quel ritardo che ha consentito al ferro della supernova di “portarsi avanti”.
Frontera e il suo gruppo vanno comunque cauti non pretendono di detenere l’unica verità in fatto di origine dei lampi gamma: il ferro non è sempre associato ai gamma ray burst e altri modelli potrebbero descrivere questi scoppi di energia cosmica. Ma il modello proposto, pur ancora abbozzato, ha l’innegabile vantaggio di essere il più semplice. “Siamo vicini alla soluzione,” ha dichiarato Frontera, “basterà effettuare altre osservazioni di eventi come quello del 5 luglio 1999 per arrivare a una definizione più precisa del modello dei lampi gamma”. Ma questo non è un problema. I lampi gamma brillano nell’Universo anche due o tre volte al giorno: se l’occhio umano fosse sintonizzato sui raggi gamma il nostro cielo sarebbe un continuo spettacolo di abbacinanti fuochi artificiali.