La ricerca biomedica (e non solo) ci si è gettata a capofitto. Crispr-Cas9, il sistema batterico per modificare il dna, è a detta degli esperti così facile da utilizzare, economico ed efficace che ormai la sua applicazione in clinica sembrava essere scontata. Ora però un gruppo di ricercatori della Stanford University alza la mano per dire che forse è meglio andarci ancora coi piedi di piombo: nel nostro sangue potrebbero esserci anticorpi specifici che metterebbero a rischio l’efficacia e la sicurezza delle terapie geniche basate su Crispr-Cas9 negli esseri umani.
Proprio per le enormi potenzialità di Crispr-Cas9 e considerati gli sforzi che si stanno facendo per sviluppare terapie per correggere errori genetici, il team di Matthew Porteus ha voluto fare delle prove di sicurezza. Come? Andando a verificare se per caso non ci fossero risposte immunitarie dirette contro queste proteine batteriche. Al momento, infatti, le proteine Cas9 (gli enzimi che tagliano in modo specifico le sequenze di dna) più utilizzate in laboratorio derivano da Staphylococcus aureus (S. aureus) e Streptococcus pyogenes (S. pyogenes), che sono batteri che infettano comunemente l’essere umano. Il nostro sistema immunitario, dunque, è in genere pronto a combatterli.
Lo studio di Stanford (non ancora pubblicato su una rivista scientifica ma diffuso sulla piattaforma di condivisione bioRxiv) ha utilizzato 22 campioni di siero estratto da cordone ombelicale e 12 campioni di sangue periferico di adulti sani per verificare la presenza di risposte immunitarie contro le proteine Cas9 di S. aureus e S. pyogenes.
I ricercatori hanno così trovato anticorpi specifici contro entrambe le proteine Cas9 batteriche in una percentuale significativa dei campioni analizzati: il 67% dei campioni risultava positivo alla risposta immunitaria umorale (cioè mediata da anticorpi) contro la proteina Cas9 di S. aureus, mentre il 42% di quelli estratti da sangue periferico risultava positivo per Cas9 di S. pyogenes.
Ma non ci sarebbero solo anticorpi: in base ai risultati nei campioni di sangue analizzati sarebbero presenti anche cellule del sistema immunitario antigene-specifiche (i linfociti T), almeno per una delle due proteine Cas9.
I numeri dello studio non sono grandi e le indagini andranno approfondite, ma in un contesto così delicato ogni dato deve essere preso seriamente in considerazione. Gli autori del lavoro, comunque, non lanciano nessun allarme, anche se i risultati sottolineano che maggiore attenzione dovrebbe essere prestata in fase di sviluppo di un approccio terapeutico.
I metodi più comuni per introdurre il sistema di editing Crispr-Cas9 all’interno delle cellule (sia in vivo sia ex vivo) applicati finora non prevedono, infatti, un contatto diretto tra le proteine Cas9 e il sistema immunitario degli eventuali pazienti. Ma dato che già oggi per altri approcci di terapia genica i pazienti con immunità preesistente a qualche componente della metodologia (per esempio al vettore virale o al transgene) non vengono inclusi nelle sperimentazioni, non si hanno dati per valutarequali potrebbero essere le conseguenze di una reazione immunitaria contro la terapia genica. Le ipotesi andrebbero dall’annullamento dell’efficacia della terapia perché le cellule modificate andrebbero distrutte, a risposte immunitarie più violente con compromissione dell’intero organismo.
La ricerca, concludono gli autori, dovrebbe dare maggiore stimolo al mondo della ricerca perché si perfezionino le tecniche esistenti per renderle più sicure, oppure perché si trovino Cas9 alternative, derivate magari da batteri con cui l’essere umano non può essere venuto in contatto.
Via: Wired.it