“Il nostro obiettivo finale è quello di migliorare la capacità del corpo di riparare se stesso” afferma Paul Tesar, professore presso il Department of Genetics & Genome Sciences della Case Western Reserve School of Medicine. Il team internazionale guidato dal ricercatore dell’Ohio ha infatti mostrato come “istruire” le cellule staminali nel cervello per invertire i danni causati dalla sclerosi multipla. Come? Mediante l’utilizzo di due farmaci già utilizzati per alleviare disturbi comuni della pelle. La scoperta è stata pubblicata su Nature.
“Sappiamo che ci sono cellule staminali in tutto il sistema nervoso adulto che sono in grado di riparare i danni causati dalla sclerosi multipla, ma fino ad ora non siamo stati in grado di guidare questo processo”, continua il ricercatore. “Il nostro approccio è stato quello di trovare farmaci che potrebbero catalizzare le nostre cellule staminali per sostituire le cellule perse nella sclerosi multipla.”
Sono milioni le persone in tutto il mondo che soffrono di questa patologia, 72000 solo in Italia, di cui il 50% adulti sotto i 40 anni. La sclerosi multipla è una malattia neurodegenerativa provocata da lesioni a carico del sistema nervoso centrale. La causa è la perdita di mielina, una membrana plasmatica che riveste le cellule del cervello. Senza mielina, i segnali neurali non possono essere trasmessi correttamente; ciò provoca una compromissione delle normali capacità motorie. Il nuovo approccio sviluppato dal gruppo del Case Western Reserve University non mira però come le precedenti ricerche a rallentare la distruzione della mielina da parte del sistema immunitario, bensì a produrre nuova mielina nel sistema nervoso. Il loro lavoro permetterebbe quindi di invertire la paralisi causata dalla sclerosi multipla.
I ricercatori hanno quantificato in laboratorio gli effetti di 727 farmaci già noti su un particolare tipo di cellule staminali chiamate progenitori degli oligodendrociti (Opc) che si trovano nel cervello e nel midollo spinale. I farmaci con la più efficace capacità di stimolare le Opc sono stati il miconazolo e il clobetasolo. Il primo è comunemente utilizzato in lozioni e polveri antifungini, inclusi quelli per curare il piede d’atleta, il secondo nel trattamento di disturbi del cuoio capelluto e della pelle come la dermatite.
“C’è stato un rovesciamento sorprendente della gravità della malattia nei topi dopo somministrazione sistematiche dei farmaci” dichiara Robert Miller, membro della facoltà di neuroscienze della Case Western Reserve University che, con Tesar, è co-autore dell’articolo. “Il processo che abbiamo identificato rappresenta davvero un cambiamento di paradigma nel modo di immaginare il recupero della funzione di pazienti con sclerosi multipla.”
Nonostante gli effetti straordinari sui topi, è ancora molto il lavoro da fare prima che pazienti possano beneficiare di questa terapia. Tuttavia, Tesar e il suo team si mostrano ottimisti; oltre ai test con cellule animali, hanno infatti testato anche i farmaci su cellule staminali umane, verificando come la risposta sia simile.
“Ci rendiamo conto che alcuni pazienti e le loro famiglie ritengono di non poter aspettare per lo sviluppo di farmaci approvati”, afferma Tesar. “Stiamo lavorando senza sosta per sviluppare un farmaco sicuro ed efficace per l’uso clinico.” La ricerca potrebbe portare benefici non solo a chi soffre di sclerosi multipla. Altri disturbi legati alla perdita di mielina come la paralisi cerebrale, la demenza senile, la neurite ottica e la schizofrenia potrebbero infatti essere rallentati.
“L’approccio dalla Case Western Reserve University combina tecnologie di cellule staminali d’avanguardia e di screening di farmaci per sviluppare nuove terapie chimiche per i disordini della mielina”, ha detto Christopher Austin, direttore del National Center for Advancing Translational Sciences (NCATS) presso il National Institutes of Health (NIH). “È chiaro che la scoperta di farmaci che controllano la funzione delle cellule staminali nel corpo rappresenta una nuova era promettente nella medicina rigenerativa.”
Riferimenti: Nature doi: 10.1038/nature14335
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