Sheila, palestinese di due anni e mezzo, e Maria, colombiana di quattro anni, possono finalmente vivere all’aria aperta come i loro coetanei e non più nelle “bolle” (da cui bubble babies, come li chiamano gli statunitensi), ossia nelle camere sterili. Le due bambine erano affette da una rara malattia genica che demolisce il sistema immunitario e rende l’organismo vulnerabile a ogni infezione. La guarigione è avvenuta grazie alla terapia genica. Un intervento delicato che ha consentito al team dell’Istituto San Raffaele Telethon per la cura delle malattie genetiche (Tiget) di Milano, coordinato da Maria Grazia Roncarolo e Claudio Bordignon, di correggere il difetto genetico alla base della malattia: la mancanza del gene che codifica per l’adenosin-deaminosi (Ada), l’enzima che fa funzionare i globuli bianchi. Una carenza che finora poteva trovare rimedio solo nel trapianto di midollo o nella somministrazione di un enzima sostitutivo ricavato dai bovini, molto costoso. “Abbiamo prelevato dalla cresta iliaca delle pazienti, cioè da una parte dell’osso del loro bacino, una piccola quantità di midollo osseo”, ha spiegato Alessandro Aiuti, primo autore dello studio che ha conquistato le pagine di Science. “Da questo abbiamo poi estratto alcune cellule staminali, progenitrici di tutte le cellule del sangue, dei globuli rossi come dei globuli bianchi. Dopo aver introdotto in esse una copia sana del gene Ada malato, un vettore retrovirale le ha trasportate di nuovo all’interno del midollo osseo delle bambine”. In altre parole, un virus geneticamente modificato, incapace cioè di replicarsi e di infettare, e quindi sicuro, ha funzionato da “navicella biologica”. Due le novità fondamentali di questo studio che hanno consentito per la prima volta di ottenere dalla terapia genica risultati duraturi. Innanzitutto, “una combinazione vincente di fattori di crescita con cui le cellule staminali prelevate sono state coltivate in laboratorio e, in secondo luogo, una blanda somministrazione di chemioterapia praticata prima di rimpiantare le cellule corrette”. Un processo, quest’ultimo, chiamato “condizionamento non mieloblativo, in base al quale l’utilizzo in piccola dose di un farmaco già usato nei casi di trapianto, il busulfano, distrugge le cellule malate, facendo spazio a quelle sane”.La ricostituzione immunologica è stata eccellente. “Le staminali introdotte”, va avanti il ricercatore, “hanno cominciato a produrre correttamente i linfociti T e B – gli uni fondamentali nella soppressione dei virus, gli altri responsabili della produzione di anticorpi – le cellule Nk (killer naturali) e tutte le altre cellule immunitarie”. I vantaggi che un trattamento del genere offre rispetto alle attuali alternative non sono di poco conto. “Il trapianto di midollo osseo, infatti, oltre ai problemi della compatibilità del donatore e quindi del rigetto, pone quello di un aggressivo trattamento chemioterapico obbligatorio nella fase post-operatoria. Mentre la sostituzione dell’enzima con il tipo bovino dell’Ada, consistente in un’iniezione da praticare tutte le settimane per tutta la vita, risulta particolarmente costosa, oltre che “imprecisa”. L’enzima, infatti, viene pur sempre introdotto dall’esterno, mentre nel trattamento genico il difetto viene corretto dall’interno”.Il metodo, che sta per essere approvato dall’Istituto Superiore di Sanità, potrà inoltre risultare valido per curare altre malattie. E al San Raffaele, un gruppo di volontari è già pronto a sperimentare nei prossimi mesi questa terapia sull’Aids, “contro il quale occorre sviluppare un gene che renda i linfociti resistenti al virus”, sostiene Aiuti, ma la speranza è anche quella di sconfiggere le numerose altre malattie genetiche, “quali la talassemia e tutte le immunodeficienze su base ereditaria”. Pur sottolineando il contributo giunto dai ricercatori israeliani dell’Hadassah University Hospital (Gerusalemme) nel caso della guarigione di Sheila, la bimba palestinese, possiamo affermare che si tratta di un metodo made in Italy. “Il riconoscimento maggiore”, conclude Aiuti, “è venuto dalla lettera di Rebecca Buckley, immunologa presso la Duke University ed esperta mondiale di trapianti del midollo osseo. Una lettera incoraggiante, in cui la studiosa, oltre a esprimere soddisfazione per la nostra ricerca, scriveva che intendeva proporre ai suoi pazienti di sottoporsi alla terapia genica da noi elaborata”.