La capacità di percepire il campo magnetico è prerogativa di poche specie: piccioni, alcuni uccelli migratori, certe farfalle, i batteri detti magnetottatici e pochi altri. Di questo sesto senso e dei meccanismi cellulari che ne sono alla base si sa ancora pochissimo (vedi Galileo, “Sguardi magnetici”). Per capirci qualcosa di più, al Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering presso la Harvard University, alcuni ricercatori hanno tentato un nuovo esperimento: indurre la sensibilità al campo magnetico in organismi che non la posseggono naturalmente. Nel caso specifico è stato scelto il lievito (Saccharomyces cerevisiae), uno dei modelli biologici più sfruttati nei laboratori. Gli autori della ricerca sono Keiji Nishida e Pamela Silver (Harvard Medical School), che sono riusciti effettivamente a modificare i sensibili meccanismi che regolano la concentrazione degli ioni metallici all’interno delle cellule. Come, lo spiegano su Plos Biology.
I ricercatori sono partiti da una considerazione: la presenza di ferro all’interno delle cellule può conferire il magnetismo, ma nella maggior parte dei casi il metallo, se in eccesso, viene isolato o espulso. In generale, la concentrazione degli ioni all’interno delle cellule è regolata in maniera fine con sistemi diversi. Uno di questi sistemi è orchestrato da proteine trasportatrici che veicolano gli ioni presenti nel citoplasma all’interno di alcuni compartimenti noti come “vacuoli”, una sorta di magazzini cellulari. Il primo passo di Silver e Nishida è stato quindi quello di bloccare questo meccanismo biologico di sequestro del ferro, disattivando i geni che codificano per le proteine trasportatrici.
A questo punto, le cellule sono state coltivate in un terreno con alta concentrazione di ioni di ferro, che sono così entrati nel citoplasma conferendo una prima magnetizzazione. Il secondo passo è stato modificare nuovamente il Dna del lievito, inserendo al suo interno il gene umano della ferritina. Nei vertebrati, questa proteina non veicola gli ioni di ferro all’interno dei vacuoli, ma li lega direttamente, formando un complesso che li intrappola. Questo ha portato a un aumento significativo della magnetizzazione: il lievito, cioè, è stato in grado di dirigersi verso un magnete esterno.
I ricercatori hanno poi indagato tutta la cascata di segnali che parte dal Dna e arriva alla produzione di proteine, identificando un gene responsabile delle reazioni che portano alla formazione finale di ioni di ferro. La scoperta, importante per la comprensione dei meccanismi biologici, potrebbe anche avere, in futuro, delle ricadute in campo diagnostico-medico: “Questo metodo – ha detto Silver – potrebbe aiutare la separazione di popolazioni cellulari specifiche usando dei magneti e l’organizzazione di cellule in strutture per l’ ingegneria tissutale”.
Riferimento: doi:10.1371/journal.pbio.1001269
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