Ecco il fermione di Majorana

Per trovare il bosone di Higgs ci sono voluti oltre quarant’anni. Ma il fermione di Majorana ha saputo essere ancora più invisibile. La bizzarra particella teorizzata dal geniale (e sfortunato) fisico catanese è rimasta nascosta per la bellezza di settantasette anni. Ci sono voluti gli sforzi di un’équipe di scienziati di Princeton e della University of Texas-Austin e un microscopio alto quanto un palazzo di due piani per scovarla. Ma, alla fine, come raccontano i ricercatori su Science, la grande impresa è riuscita. Ali Yazdani è riuscito, assieme ai suoi collaboratori, a individuare il fermione di Majorana alle estremità di un sottilissimo filo di ferro superconduttore. Proprio come e dove si prevedeva che fosse.

La ricerca della particella era iniziata nel 1937, quando Ettore Majorana predisse l’esistenza di un fermione (la classe di particelle con spin semi-intero) che fosse contemporaneamente materia e antimateria. Che vuol dire? Nei primi anni di sviluppo della teoria quantistica, i fisici si resero conto che le equazioni che avevano messo a punto per descrivere i fenomeni su scala microscopica implicavano l’esistenza di una controparte – l’antimateria, per l’appunto – per ogni particella nota. All’elettrone, per esempio, doveva corrispondere un antielettrone (poi chiamato positrone) di massa uguale e carica opposta. Molte di queste particelle, poi, sono state effettivamente osservate; ma il fermione di Majorana, di carica neutra – e che per questo coincide con la propria antiparticella – mancava ancora all’appello. Almeno fino a oggi.

Già nel 2001, il fisico Alexei Kitaev, attualmente in forza alla University of California-Santa Barbara, aveva predetto che, sotto certe condizioni, un fermione di Majorana sarebbe apparso alle estremità di un filo superconduttore (la supercondutttività è il fenomeno per cui un materiale conduce corrente senza alcuna resistenza). Nella previsione di Kitaev, un determinato tipo di superconduttività avrebbe indotto la formazione di fermioni di Majorana che non si sarebbero annichiliti l’uno con l’altro, a patto che il filo superconduttore non fosse stato troppo corto. Nel 2012 un’équipe di ricercatori della Delft University cercò di dimostrare la congettura di Kitaev, inducendo la superconduttività in un semiconduttore a base di antimoniuro di indio. Gli scienziati videro, in effetti, un segnale elettrico caratteristico di una particella neutra alle estremità dei fili – indice della possibile presenza di due Majorana – ma non bastò. Perché, rispose la comunità scientifica, anche altri fenomeni avrebbero potuto dare lo stesso tipo di segnale. 

Yazdani e i suoi si sono allora messi al lavoro per trovare la prova definitiva. Hanno ipotizzato che la sfuggente particella potesse venir fuori anche sotto altre condizioni, in particolare con la coesistenza di magnetismo e superconduttività. Dopo aver racimolato i tre milioni di dollari necessari al loro esperimento, hanno costruito un cristallo ultra-puro di piombo, i cui atomi asi allineano naturalmente in righe alternate che lasciano creste sottilissime sulla superficie del cristallo. Successivamente, hanno depositato del ferro su queste creste, per creare un filo molto lungo e spesso più o meno quanto tre atomi. La struttura è stata raffreddata a -272° Celsius, una temperatura molto vicina allo assoluta, e quindi sottoposta allo sguardo acutissimo di un microscopio a effetto tunnel, in grado di rivelare un segnale elettricamente neutro alla fine del filo. Il setup ha permesso anche ai ricercatori di visualizzare i cambiamenti del segnale lungo il filo, mappando cioè la probabilità quantistica di trovare il fermione in funzione della posizione. 

Bingo. “Abbiamo mostrato che il segnale vive solo alle estremità del filo”, spiega Yazdani. “È questo l’elemento che ci mancava, perché indica che il segnale è causato proprio da un fermione di Majorana e non da altri fenomeni. È la cosa più intrigante è che il materiale usato è molto semplice. Ferro e piombo. E nient’altro”. Bene. Ora che l’abbiamo trovato, cosa ce ne faremo? A quanto pare, parecchie cose interessanti. Oltre alle sue implicazioni per la fisica fondamentale (e per magnificare, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, il gigante che fu Majorana), la scoperta apre nuove possibilità per lo sviluppo di computer quantistici. Il problema principale dell’informatica quantistica, infatti, sta nel fatto che le particelle microscopiche tendono di solito a interagire con il mondo circostante, perdendo le bizzarre proprietà che le caratterizzano e che rendono possibile la memorizzazione di informazioni (i cosiddetti qubit, ovvero quantum bit). I fermioni di Majorana, invece, sono estremamente solitari. Come abbiamo visto, non hanno carica elettrica e interagiscono molto debolmente con quel che li circonda: secondo gli scienziati, dunque, si presterebbero molto bene a codificare informazioni quantistiche. 

Riferimenti: Science doi: 10.1126/science.1259327
Credits immagine: Yazdani Lab, Princeton University

Via: Wired.it

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here