Per osservare le galassie lontane, ma anche per rendere più performanti le fotocamere dei nostri telefonini: un’innovazione nell’ottica che prende forma attraverso le lenti piatte, in grado di rendere questi dispositivi più leggeri, efficienti e accessibili. Un team di ricercatori dell’Università dello Utah, guidato da Rajesh Menon, esperto di nanotecnologie, ha sviluppato la prima lente piatta capace di catturare l’intero spettro visibile, pubblicando i suoi risultati su Applied Physics Letters.
Prestazioni straordinarie
L’obiettivo del team, spiega l’autore principale dello studio Apratim Majumder, era quello di superare i limiti delle lenti tradizionali in vetro, attualmente utilizzate nei telescopi terrestri, aerei e spaziali, che risultano voluminosi, pesanti e costosi. Le lenti sviluppate in questo lavoro, chiamate Multi-level Diffractive Lenses (MDL), sono al contrario molto sottili e leggere. Il modello descritto nello studio ha un diametro di 100 mm, uno spessore di appena 2,4 micrometri e un peso di soli 25 grammi, incluso il supporto in vetro. Per fare un confronto, una lente tradizionale delle stesse dimensioni può pesare tra 200 che arrivano 500 grammi, con le correzioni ottiche.
Uno degli aspetti più innovativi di queste lenti è la capacità di mantenere prestazioni elevate su tutto lo spettro visibile (400-800 nm), garantendo un’ottima luminosità grazie alla grande apertura e alla bassa lunghezza focale. Inoltre, offrono una risoluzione di ben 181 linee per millimetro, superando di gran lunga la capacità dell’occhio umano, che si attesta tra 50 e 60 linee per millimetro a una distanza di lettura standard di 25 cm.
Un unico punto focale per tutti i colori
Le lenti tradizionali, realizzate con superfici curve, focalizzano la luce sfruttando il fenomeno della rifrazione: quando la luce passa tra materiali con diversi indici di rifrazione, come aria e vetro, cambia direzione. Per ottenere lunghezze focali ridotte, senza dover aumentare lo spessore della lente, servono materiali con un alto indice di rifrazione, che però sono spesso pesanti e ingombranti. Le lenti piatte, invece, sfruttano la diffrazione. La loro superficie è composta da microscopiche strutture capaci di generare onde secondarie che interferiscono tra loro, ottenendo lo stesso effetto delle lenti tradizionali, ma con un design estremamente sottile e leggero. Tuttavia le lenti piatte realizzate sino a oggi presentano due problemi principali: funzionano solo per una lunghezza d’onda specifica (quindi per un solo colore) e hanno una bassa efficienza, poiché parte della luce viene dispersa in modo indesiderato. Per superare questi limiti, il team dell’Università dello Utah ha utilizzato un’avanzata tecnica di calcolo chiamata Inverse Design, basata su algoritmi che ottimizzano la progettazione delle strutture ottiche.
“La fase della luce che attraversa la lente varia a seconda della lunghezza d’onda”, spiega Menon. “Creando strati multipli in grado di regolare la velocità di ciascuna lunghezza d’onda, siamo riusciti a far convergere tutti i colori nello stesso punto focale. Inoltre, per realizzare gli strati della lente, abbiamo utilizzato la litografia in scala di grigi, una tecnica molto più veloce ed economica rispetto ad altri metodi comunemente impiegati, come l’incisione a fascio di elettroni o ioni”.
Un futuro dell’ottica più accessibile
I ricercatori prevedono che queste lenti potranno sostituire quelle tradizionali in numerosi settori, grazie alla scalabilità di questa tecnologia, ovvero alla possibilità di adattarla a una vasta gamma di dimensioni e frequenze. L’adozione di lenti piatte, leggere, sottili e ad alta risoluzione porterà grandi vantaggi a tutti i dispositivi portatili. Pensiamo agli smartphone, alle fotocamere e ai visori di realtà aumentata, che diventeranno più compatti e leggeri, con batterie più piccole. Nel campo dell’astronomia, l’impiego delle lenti piatte nei satelliti e nei telescopi spaziali contribuirà a ridurre i costi di lancio e il consumo di energia necessario per le manovre di assetto. Basti pensare che il solo specchio primario del James Webb Space Telescope (JWST) ha una massa di circa 700 kg. Anche i sistemi di ottica multispettrale montati sui droni per uso civile o militare, sensibili non solo alle frequenze visibili dall’occhio umano ma anche a quelle infrarosse, potrebbero trarne beneficio, rendendo più efficiente ad esempio il monitoraggio del suolo, dello stato di salute delle colture e l’individuazione di anomalie termiche nelle acque di fiumi e mari.
Le prossime sfide
Attualmente, il team sta lavorando per migliorare ulteriormente il design e i processi di fabbricazione, con l’obiettivo di realizzare lenti piatte ancora più grandi e di estendere questa tecnologia ottica ad altre gamme spettrali. Le prime versioni commerciali di queste lenti potrebbero essere disponibili entro i prossimi 4-5 anni.
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