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Ecco l’eBay della scienza

di
Laura Berardi

Si chiama Science Exchange, e a molti ricorda da vicino la piattaforma di aste online più famosa del mondo. L’idea dei creatori, una ricercatrice in medicina dell’Università di Miami e due informatici di Palo Alto in California, è quella di aiutare gli scienziati che non hanno accesso alla tecnologia di cui avrebbero bisogno – o che hanno poco tempo o troppo lavoro – a esternalizzare parte dei loro studi a centri di ricerca che dispongono di materiale e personale in abbondanza. Il tutto avviene tramite un sito al quale si sono già registrate università come Stanford, Harvard e Princeton, e che funziona un po’ come eBay.

Il progetto nasce da una constatazione molto semplice: molte università possiedono strumenti sfruttati meno di quanto si potrebbe, e tante altre alle prese con carenze di apparecchiature e organico. Di qui l’ispirazione di Science Exchange, per rendere più semplice l’incontro e la cooperazione tra queste realtà: “Io faccio ricerca nell’ambito del cancro al seno – spiega l’ideatrice della piattaforma, Elizabeth Iorns, del Dipartimento di Oncologia della Miller School of Medicine all’Università di Miami – e per portare avanti alcuni esperimenti ho bisogno di aiuto. Ma il processo di outsourcing, come viene chiamato, è complicato. È difficile trovare centri di ricerca con le apparecchiature adatte, e una volta individuati, non è facile pagarli direttamente per ottenere le prestazioni necessarie: i sistemi e le regole cambiano da università a università”.

Sul sito di Science Exchange si può invece creare la pagina con i dettagli dell’esperimento che si vorrebbe esternalizzare: qui i centri di ricerca interessati possono registrare le loro proposte inserendo la tipologia di servizio che sono in grado di offrire, la strumentazione a loro disposizione e un preventivo dei costi. Successivamente parte l’asta online tra i diversi partecipanti, per scegliere la proposta migliore. Naturalmente anche i tre inventori hanno il loro tornaconto. La partecipazione alla gara ha un prezzo, una commissione che si aggira intorno al 5% del costo del progetto per quelli più piccoli e va man mano diminuendo all’aumentare della portata dell’esperimento.

“Immaginate di essere pagati per fare gli esperimenti di qualcun altro per un giorno a settimana. E nel tempo che resta, di usare questi soldi per sostenere la vostra ricerca”, ha detto la Iorns in una intervista su Nature. L’idea sembra vincente, visto che ad una settimana dal lancio la piattaforma ha già visto la registrazione di 70 centri e quasi 1000 ricercatori. Da allora, ogni giorno si aggiungono tra i 50 e i 100 nuovi utenti.

Fonte: http://www.nature.com/news/2011/110819/full/news.2011.492.html

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