Scrivere con gli elettroni. C’è riuscito il gruppo di ricerca guidato da Hubertus Marbach dell’Università di Erlangen-Nurimberg. Il loro studio, pubblicato su Angewandte Chemie International, illustra come produrre nanocristalli in forma altamente pura usando un fascio di elettroni per colpire una superficie di silicio, così come fa una penna su un foglio. Questa forma di scrittura invisibile potrebbe migliorare la produzione di nanocristalli utilizzati anche per i chip dei computer.
I nanocristalli sono delle particelle piccolissime dell’ordine del miliardesimo di metro, che trovano applicazioni in diversi campi (dall’ottica, all’elettronica, alle tecnologie energetiche), grazie alle ridotte dimensioni che conferiscono loro proprietà elettriche e termodinamiche particolari. La loro produzione è una sfida in termini di efficienza e costi.
Gli scienziati tedeschi sono riusciti a crearli attraverso un processo in due fasi. Nella prima parte hanno diretto un fascio di elettroni su un supporto sottilissimo (wafer) ricoperto di ossido di silicio. In questo modo sono riusciti a ‘scrivere’ sulla superficie, rimuovendo atomi di ossigeno e formando ‘denti’ nanoscopici senza lasciare traccia. Queste piccolissime scanalature favoriscono l’innesco di reazioni chimiche. Infatti, nella seconda fase dell’esperimento, i ricercatori hanno spruzzato la superficie di ferro pentacarbonile, un precursore chimico per la sintesi delle nanoparticelle. Questo reagisce con le dentature del supporto per formare nanocristalli di ferro (magnetite) purissimi, rendendo così evidente quanto scritto dall’‘inchiostro invisibile’ del fascio di elettroni.
Questo metodo è già impiegato commercialmente per la deposizione di nanocristalli, dove però a essere colpita non è una superficie del silicio ma il ferro pentacarbonile direttamente. Questa tecnica porta alla produzione di nanocristalli con un alto grado d’impurità, contenenti cioè ossigeno e carbonio in alte percentuali. Come sottolineato dai ricercatori, invece, il procedimento sviluppato in questo studio è meno aggressivo rispetto alle tecniche utilizzate commercialmente e non distrugge il ferro pentacarbonile, ma lo decompone chimicamente in maniera ‘soft’ per ottenere particelle con un elevato grado di purezza (ferro oltre il 90 per cento), quindi di migliore qualità. (a.l.b.)
Riferimenti: Angewandte Chemie International DOI:10.1002/anie.201001308