Un’autentica emorragia. E le vittime – ironia della sorte – sono gli ospedali italiani. Quelli pubblici, per precisione, perché l’esodo di medici e personale sanitario che rischia di travolgere il nostro sistema sanitario nei prossimi anni in molti casi avrà come destinazione proprio la sanità privata, sempre più appetibili per condizioni di lavoro e trattamento economico. A lanciare l’allarme è un rapporto realizzato dal Laboratorio sulle politiche del personale della Fiaso, la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere: stando ai risultati, il saldo tra personale in entrata e in uscita è destinato a farsi sempre più negativo, e anche nello scenario migliore le aziende sanitarie pubbliche sembrano destinate a ritrovarsi con 11mila medici in meno entro il 2022. I motivi? Blocco del turnover, il dimezzamento dei posti da primario, e una classe medica tra le più anziane d’Europa.
Un triste primato
A dirla tutta, numeri alla mano il personale medico italiano è il più vecchio del continente, con un 51% dei medici nostrani che ha già superato i 55 anni di età. Per fare un paragone, in Uk siamo al 10%, in Olanda e Spagna al 20%, e anche in Francia e Germania, dirette contendenti per il titolo, non si supera comunque il 40%. Come siamo arrivati a questa situazione? Blocchi del turnover reiterati negli ultimi decenni, che hanno impedito il ricambio del personale e alzato l’età media dei medici. E presto la situazione potrebbe farsi sentire: se nel 2012 erano circa 422 i medici italiani di 65 anni (età in cui normalmente si va in pensione) lo scorso anno hanno superato i duemila. Con un trend simile – calcola la Fiaso – entro il 2025 40mila medici avranno raggiunto i 65 anni. Ma gli abbandoni, a guardar bene, saranno anche di più: oltre 54mila, visto che circa il 35% abbandona gli ospedali prima dell’età della pensione.
Il richiamo del privato
Concentrandoci sui medici che decidono di allontanarsi dal servizio pubblico prima della pensione, esistono due categorie principali: chi punta al prepensionamento, avendo esaurito vocazione e forze per reggere i ritmi della sanità italiana, o magari spaventato dalle nuove regole pensionistiche introdotte dalla legge Fornero; e chi fa il grande salto verso gli ospedali privati. Circa un medico su cinque che abbandona anzitempo il proprio ospedale rientra proprio in questa seconda categoria. “Le uscite anticipate dei medici dal servizio pubblico hanno varie ragioni, come la paura dell’innovazione organizzativa e tecnologica e di veder cambiare in peggio le regole del pensionamento, oppure– spiega il Presidente Fiaso, Francesco Ripa di Meana – il dimezzamento necessario dei posti di primario, che ha finito per demotivare tanti medici a proseguire una carriera oramai senza più sbocchi”. E il richiamo del privato non lascia indifferenti neanche i giovani medici in attesa di trovare un primo lavoro. Al termine della specializzazione, infatti, circa un medico su quattro oggi sceglie direttamente una carriera nel privato.
La crisi specialità per specialità
Non tutte le discipline mediche, comunque, saranno colpite allo stesso modo. “Il nostro studio parte da un’evidenza empirica, ovvero dalla mancata partecipazione a bandi di concorso per alcune discipline mediche lamentata da moltissime aziende ospedaliere e Asl”, spiega Nicola Pinelli, direttore della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere. “Inizialmente si trattava principalmente di piccole Asl periferiche, dove comunque l’impatto della carenza di personale è anche più problematica, ma poi il fenomeno ha iniziato a presentarsi anche nelle realtà cittadine, e questo ci ha spinto ad approfondire la questione”. I risultati dell’analisi realizzata dalla Fiaso in effetti fotografano una realtà preoccupante. Entro il 2025, il 93% degli igienisti e l’81% dei patologi clinici italiani attualmente in servizio avrà raggiunto l’età della pensione. Per Internisti, chirurghi, psichiatri, nefrologi e riabilitatori la percentuale si aggira attorno 50%. Ma è tra anestesisti e rianimatori che si avrà il numero di abbandoni maggiore in termini assoluti: quasi cinquemila da qui a sette anni.
La soluzione
Se i numeri ci aiutano a descrivere la dimensione del fenomeno, poco ci dicono sulle possibili soluzioni. Intervenire alla radice per aumentare il numero di medici, eliminando ad esempio il numero chiuso a medicina o aumentando i posti per le specializzazioni più colpite dalla carenza di personale, non avrebbe effetti in tempi utili. Servirebbero infatti almeno 10-12 anni per vedere i risultati di un più ampio accesso alla laurea in medicina, e almeno 5 nel caso dei corsi di specializzazione. Sull’immediato, secondo la Fiaso la soluzione esiste, ma passa per la riorganizzazione dei servizi. “Ricordiamoci che al momento siamo il paese europeo con il maggiore numero di medici sia in termini assoluti sia in relazione al numero di abiatanti – ricorda Pinelli – quindi sfruttando con maggiore efficienza le risorse disponibili è certamente possibile fare fronte all’emergenza”. In particolare negli ospedali di provincia, dove la carenza di personale rischia di avere l’impatto più forte sulla popolazione, è necessario agire in fretta, riorganizzando il personale, accentrando specifiche discipline e delegando alcune prestazioni al personale non medico (come gli infermieri) che ha già tutte le competenze necessarie per svolgere alcuni compiti con la medesima efficacia e sicurezza di un dottore, e aiuterebbe i medici a liberarsi da alcune incombenze per avere più tempo da dedicare alle altre.
Spostando l’attenzione sui servizi territoriali sarebbe anche possibile dare risposta alle mutate esigenze di salute della popolazione (sempre più anziana) che oggi ha maggiore bisogno di assistenza per malattie croniche e sempre meno bisogno di recarsi in ospedale per problemi acuti. Questo, secondo la Fiaso, permetterebbe di tamponare il problema nell’immediato, e di riorganizzare in modo più efficiente il sistema sanitario anche per i decenni a venire. In attesa che la professione medica torni ad assere un lavoro ambito anche nel nostro paese.