Ercolano, fu morte dolce

Era l’agosto del 79 dopo Cristo. Dopo un periodo di quiete durato circa otto secoli, il Vesuvio si risvegliò all’improvviso. La terra fu scossa da violenti terremoti e una colonna di gas, ceneri e frammenti di roccia si sollevò in cielo fino a un’altezza di 15 chilometri. E poi ripiombò a terra cancellando in pochi istanti Pompei, Ercolano e Stabia. Probabilmente, si tratta dell’eruzione vulcanica più celebre della storia, di cui ci è pervenuta una cronaca di prima mano grazie a due lettere che Plinio il Giovane (che ne fu testimone diretto) inviò a Tacito descrivendo il dramma. Una tragedia che tuttavia ci ha “regalato” alcuni dei siti archeologici più straordinari del mondo. E che anche dopo decenni di studi e di scavi continuano a riservarci nuove sorprese. L’ultima è una nuova e rivoluzionaria ipotesi sulla morte degli abitanti di Ercolano che non sarebbe avvenuta per soffocamento, come riportano i libri di storia, bensì per shock termico.

L’ipotesi, pubblicata sull’ultimo numero di Nature, arriva dopo che un’équipe multidisciplinare di ricercatori italiani ha disseppellito e analizzato 80 scheletri. Si tratta di una parte di un gruppo di circa trecento abitanti di Ercolano che aveva cercato scampo fuori le mura, all’interno di una dozzina di ripari costruiti su una banchina in riva al mare, probabilmente ricoveri per barche. Ma quando una nuvola di ceneri e gas incandescenti si abbatté sulla spiaggia, nessuno si salvò.

Ercolano sorgeva alle pendici del Vesuvio e fu seppellita da quattro chilometri cubici di materiale vulcanico, seguite da micidiali correnti di gas e ceneri incandescenti. Ma ciò che ha sorpreso i ricercatori è che, al contrario delle vittime di Pompei, le posizioni dei corpi disseppelliti vicino a Ercolano non evidenziano alcun segno di reazione, di agonia o di contorsioni. Dunque, i rifugiati non condivisero il destino dei vicini di Pompei, non morirono per soffocamento e presumibilmente dopo lunghi minuti di sofferenze, ma furono uccisi quasi istantaneamente dalla temperatura che all’improvviso arrivò a sfiorare i 500 °C.

“Alcuni frammenti di tegola ritrovati all’esterno della camera 12”, spiega il geofisico Alberto Incoronato, dell’Università di Napoli Federico II, “hanno permesso di determinare palomagneticamente la temperatura della nuvola di gas e ceneri che si è abbattuta su Ercolano. Il valore ottenuto sperimentalmente, 480 °C, è in buon accordo con le fratture delle ossa e dello smalto dentale osservate su alcuni scheletri, tipiche di un corpo esposto a una temperatura di circa 500 °C. Fu l’intenso calore a fermare gli organi vitali dei rifugiati di Ercolano: la morte, istantanea, sopraggiunse per shock termico”.

Non ci fu nemmeno il tempo per ripararsi il volto con le braccia. “Forse qualcuno avvertì una lieve sensazione di calore”, azzarda Incoronato, “ma credo che nessuno abbia sofferto”. In pochi secondi la cenere inghiottì i corpi e vaporizzò le parti molli prendendo il loro posto. I calcoli termodinamici indicano che, in ogni camera, il calore era appena sufficiente a vaporizzare la massa organica di 30 persone. Ciò spiegherebbe perché gli effetti termici siano più evidenti sui corpi ritrovati nella camera 5, la meno affollata, e siano limitati ai denti e alle ossa meno protette dai tessuti. “Le mani, i piedi e in alcuni casi anche la colonna vertebrale”, continua Incoronato, “subirono una contrazione indotta termicamente. Il successivo processo di raffreddamento durò 30-40 minuti e fissò le vittime nelle posizioni che possiamo osservare ancora oggi”.

Ma oltre che per le nuove ipotesi scientifiche, lo studio si distingue per l’approccio multidisciplinare seguito nelle ricerche cui hanno partecipato archeologi, biologi e vulcanologi dell’Università di Napoli Federico II, dell’Osservatorio vesuviano, del Centro musei delle scienze naturali, della Soprintendenza archeologica di Pompei e dell’Università di Cambridge i Gran Bretagna. “E’ la prima volta”, sottolinea Incoronato, “che un’indagine del genere viene affrontata da diverse prospettive. Finanziamenti permettendo, ora vorremmo estendere lo studio a tutta l’area di Ercolano”.

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