A 40 anni luce da qui, nella costellazione dell’Acquario, sette sorelle della nostra Terra girano intorno a una piccola stella. Sorelle, per quel che ne sappiamo finora, solo per quel che riguarda la stazza: i sette esopianeti in orbita intorno alla stella Trappist-1, avrebbero infatti dimensioni simili a quelle terrestre.
Ma a renderli in qualche modo speciali nella flotta degli esopianeti scoperti fino a oggi, spesso preceduti da annunci di annunci importanti con discusse presentazioni in grande stile (e quello di oggi non ha fatto eccezione), non è la vaga somiglianza con la nostra Terra.
A far guardagnare al sistema Trappist-1 le pagine della rivista Nature è soprattutto il record: è la prima volta che così tanti pianeti di questo tipo sono stati scoperti intorno a una stessa stella e, ciliegina sulla torta, giacciono nella cosiddetta zona temperata del loro sistema solare. Si trovano, in altre parole, lì dove le temperature permetterebbero la presenza di acqua allo stato liquido e quindi, nella migliore delle ipotesi, potrebbero ospitare forme di vita.
Il nuovo sistema solare proprio nuovissimo in realtà non è. Lo imparavamo a conoscere solo lo scorso anno, quando sempre su Nature, veniva presentata la scoperta di una tripletta intorno a questa nana ultrafredda, Trappist-1 appunto, molto meno luminosa del Sole e decisamente più piccola. Le osservazioni di quei pianeti però non sono mai smesse, puntando gli occhi sulla stella sia con diversi telescopi a Terra che con l’aiuto di Spitzer, il telescopio spaziale della Nasa, a caccia di variazioni nella luminosità della stella.
Osservare infatti variazioni, diminuzioni in questo caso, nella quantità della luce proveniente da una stella è uno dei metodi che gli astronomi usano per andare a caccia di esopianeti. Questo perché quando un pianeta passa davanti al suo sole, e gli strumenti che si impiegano per l’osservazione si trovano nella giusta direzione, la luce proveniente dalla stella diminuisce (come mostrato nel video a seguire). In questo modo i ricercatori sono riusciti a identificare decine di transiti, riferibili a nuovi quattro pianeti oltre la tripletta nota in precedenza.
Il sistema di Trappist-1”, racconta il ricercatore a capo dello studio Michaël Gillon dell’Université de Liège, in Belgio, presentando la scoperta, “è costituito di pianeti tutti molto vicini tra loro e a loro volta alla propria stella, qualcosa che ricorda il sistema di lune che orbitano intorno al pianeta Giove”. I pianeti hanno periodi orbitali brevissimi, appena di pochi giorni, e proprio come il sistema delle lune galileiane, mostrano caratteristiche di risonanza orbitale, un fenomeno che implica influenze gravitazionali periodiche di un pianeta sull’altro.
Questa similitudine suggerisce che il sistema Trappist-1 e quello delle lune galileiane possano aver avuto una storia e un’evoluzione simili. “L’architettura del sistema solare”, scrivono a proposito gli autori, “suggerisce che i pianeti si siano formati più lontano dalla stella e siano poi migrati verso l’interno”.
Su che aspetto abbiano i nuovi pianeti per ora possono essere fatte solo ipotesi. Se i primi dati indicano che per dimensioni e per massa i sette pianeti sono comparabili alla Terra, e probabilmente rocciosi (almeno i sei più interni), per il resto come siano fatti questi mondi lontani non è affatto chiaro.
E tutti, come già accennato, si trovano in zone temperate, in cui è possibile la presenza di acqua allo stato liquido, per tre di loro (e,f,g) addirittura oceani di acqua in superficie, spiegano i ricercatori. Qualcosa di più su come sia fatto questo sistema solare così familiare e al tempo stesso così esotico potranno forse raccontarlo gli occhi del James Webb Space Telescopy della Nasa, che partirà il prossimo anno. Il nuovo telescopio potrebbe infatti scoprire composizione atmosferiche ed emissioni termiche dei pianeti, alzando il velo sulla composizione e sui loro climi.
Per ora quel che resta è la scoperta di un nuovo sistema sistema planetario. Strano ma non troppo, e per lo più ancora sconosciuto. Negli ultimi anni abbiamo infatti imparato che di sorelle, fratelli, gemelli e cugini la galassia abbonda e che per tanti che ne vediamo tanti, tantissimi ci sfuggono. Forse, scrive Ignas A.G. Snellen dell’Osservatorio di Leiden in un pezzo di accompagnamento alla scoperta sullo stesso numero di Nature, il nostro Sistema solare, con i suoi quattro pianeti delle dimensioni terrestri (meglio, subterrestri per Mercurio,Venere e Marte) non è nulla di così fuori dell’ordinario.
Via: Wired.it