Per spiegare le cause della grande estinzione di massa che circa 200 milioni di anni fa cancellò la metà delle specie marine esistenti e cambiò radicalmente aspetto agli ecosistemi terrestri, i ricercatori hanno sempre dato la colpa ai vulcani. Le prove sembravano schiaccianti: l’estinzione di fine Triassico coincise con un sostanzioso aumento nella concentrazione di anidride carbonica atmosferica (che salì di ben quattro volte), attribuito alla massiccia attività vulcanica registrata in quegli anni. Al tempo, infatti, la Terra iniziava a perdere i pezzi, il supercontinente chiamato Pangea cominciava cioè a spaccarsi gettando le fondamenta degli odierni continenti. E questo cambio di look, per l’appunto, portava a frequenti e violente eruzioni vulcaniche.
Eppure, in questo scenario c’è qualcosa che non quadra. Questo periodo di intensa attività vulcanica, infatti, è durato per circa 600mila anni, molto di più a lungo dei 20-40 mila anni in cui si consumarono gli eventi di fine Triassico. Ecco perché, un gruppo di ricercatori coordinati da Micha Ruhl della Utrecht University, nei Paesi Bassi, ha proposto un’ipotesi alternativa: a causare l’estinzione di 201,4 milioni di anni fa sarebbe stato il rilascio di grandi quantità di metano nell’atmosfera, conseguente all’innalzamento delle temperature oceaniche. Un evento che, per l’appunto, si consumò in soli 20mila anni, giusto il tempo dell’estinzione. I ricercatori spiegano cosa potrebbe essere successo in un articolo pubblicato su Science.
Ruhl e la sua équipe hanno studiato i resti delle piante depositati sul fondo del Mare di Teti, che al tempo separava i continenti di Laurasia e Gondwana (e che oggi va a formare gli strati sedimentari delle Alpi australiane). Analizzando le concentrazioni dei diversi isotopi di carbonio racchiusi nei resti vegetali, infatti, è possibile risalire alla fonte originale di questo carbonio: anidride carbonica o metano. Ebbene, dalle analisi i ricercatori hanno scoperto che nell’intervallo di tempo corrispondente all’estinzione, la maggior parte del carbonio accumulato nei tessuti vegetali proveniva dal metano. “Un piccolo rilascio di anidride carbonica dai vulcani ha innescato un lieve cambiamento nel clima che ha causato un innalzamento delle temperature sulla Terra e negli oceani – ha spiegato a Wired.com Ruhl – e questo ha portato al rilascio del metano dal fondo dei mari”.
Secondo i ricercatori quindi, il riscaldamento degli oceani ha liberato nell’atmosfera il metano intrappolato nei fondali, il quale, poiché è un potente gas serra, ha provocato un ulteriore innalzamento delle temperature. Da qui avrebbe preso il via una reazione a catena che ha portato la Terra a scaldarsi sempre di più, rendendo le condizioni di vita proibitive.
La teoria di Ruhl, però, non raccoglie consensi unanimi dal mondo della ricerca. Secondo Jessica Whiteside, paleobiologa della Brown University, lo studio ha bisogno di essere ulteriormente verificato per provare che i risultati ottenuti non sono solamente un pattern localizzato alla zona geografica presa in esame. Ma anche se la ricercatrice è scettica sul ruolo del metano nell’estinzione di fine Triassico, crede comunque che il binomio anidride carbonica-metano sia responsabile dei cambiamenti climatici che portarono, tra i 55 e i 35 milioni di anni fa, all’ Eocene.
Seppur con tutte le cautela del caso, potremmo prendere lo studio come un monito. “I ricercatori, oggi, sono preoccupati dal rilascio di metano dai fondali marini causato dall’innalzamento delle temperature”, ha detto Ruhl: “Il nostro studio mostra quello che è accaduto in passato e che potrebbe accadere di nuovo. Quello che non sappiamo è solo l’entità di questo fenomeno”. Ma, in caso di dubbio, forse sarebbe meglio iniziare davvero a prendere sul serio questa faccenda del surriscaldamento climatico, perché la prossima estinzione di massa potrebbe riguardare proprio noi.
Riferimento: DOI: 10.1126/science.1204255
Via wired.it
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Io avevo letto che era dimostrata invece la tesi dell’asteroide.