L’estinzione dei Neanderthal è uno delle storie più misteriose e intriganti della paleoantropologia. E oggi una ricerca (anche) italiana propone una nuova ipotesi di soluzione al mistero. A mettere fine ai giorni dei nostri cugini, sarebbero stati due fattori: i mutamenti del campo magnetico terrestre e una variante genetica che rese i Neanderthal più sensibili ai raggi ultravioletti e dunque più esposti ai danni dello stress ossidativo, fenomeno legato all’invecchiamento cellulare e all’insorgenza di malattie. Lo studio, pubblicato su Reviews of Geophysics dai geologi del Cnr-Ismar di Bologna e dell’Università della Florida, però, sta facendo discutere nel nostro Paese.
Una proteina cruciale
I Neanderthal – sostengono gli autori del nuovo studio – erano diversi dai Sapiens per una variante genetica di una proteina, il recettore arilico AhR, sensibile alla radiazione ultravioletta. Del recettore ne avevano già scoperto l’esistenza un gruppo di biologi molecolari nel 2016. Allora i ricercatori avevano ipotizzato che il recettore arilico, che regola l’effetto della diossina, avesse favorito l’assorbimento delle tossine prodotte dalla combustione di legna nelle caverne, conferendo ai Neanderthal un handicap rispetto ai cugini Sapiens. Ma secondo i paleomagnetisti Luigi Vigliotti del Cnr e Jim Channell quel recettore mutato avrebbe reso i Neanderthal più vulnerabili a un diverso fattore di rischio: l’ondata di radiazione ultravioletta causata dall’indebolimento dello scudo magnetico terrestre.
L’evento di Laschamp e l’estinzione dei Neanderthal
Circa 41 mila anni fa si verificò un evento (i paleomagnetisti lo chiamano Evento di Laschamp) di scala globale: l’inversione del campo magnetico terrestre, che ne diminuì l’intensità, fino al 25% di quella attuale. Di conseguenza – spiegano Vigliotti e Channell – sulla Terra aumentò la radiazione ultravioletta, arrivando a sterminare molte specie animali. “L’aumento della radiazione non fu fatale solo ai neanderthaliani”, precisa Vigliotti, “nello stesso intervallo di tempo in Australia si estinsero 14 generi di mammiferi, soprattutto di grossa taglia”. Un evento non unico: qualcosa di simile, racconta lo scienziato, avvenne anche 13 mila anni fa, portando alla scomparsa di 35 generi di grandi mammiferi in Europa e soprattutto in Nord America.
Combinando la cronologia dell’estinzione dei Neanderthal, i dati paleogenetici e i dati paleomagnetici, i ricercatori sono giunti alla conclusione che fu proprio quell’evento a essere fatale ai Neanderthal e a risparmiare noi Sapiens, permettendoci di proliferare sulla Terra. “Fu lo stress ossidativo prodotto dai raggi UV a portare all’estinzione i Neanderthal”, afferma Vigliotti.
Qualcuno sopravvisse all’estinzione dei Neanderthal
Molti organismi acquatici e terrestri, spiega Vigliotti, sopravvissero avendo strategie per limitare i danni che i raggi UV possono procurare al DNA. Tra questi lo stesso Sapiens, la cui storia successiva non sarebbe però stata esente dall’influenza delle variazioni del campo magnetico. Per esempio, sia i fossili dell’Omo Kibish, il più antico Sapiens conosciuto, sia la datazione dell’Eva mitocondriale, l’ultima antenata comune a tutta l’umanità, risale a 190 mila anni fa, coincidendo con un altro momento di assenza del campo magnetico, l’Iceland Basin Excursion. E così anche vari sviluppi dell’evoluzione umana concentrati tra 100 e 125 mila anni fa, spiega Vigliotti, coincidono con un altro minimo del campo magnetico terrestre: l’evento di Blake. Il campo magnetico terrestre ha giocato dunque un ruolo nell’evoluzione dell’uomo moderno che ha soppiantato i Neanderthal. Senza il ruolo di fratricida che era stato dato ai sapiens: sentitevi meno in colpa.
I dubbi degli esperti
La teoria formulata da Vigliotti e Channell sta facendo parlare di sé, raccogliendo anche critiche provenienti dal mondo degli esperti di paleo-antropologia. Se per alcuni la nuova ipotesi è quantomeno poco convincente rispetto alle più accreditate teorie sull’estinzione dei Neanderthal, c’è anche chi (come fa il paleontologo Andrea Cau dal suo blog Theropoda) non risparmia pesanti obiezioni (e sarcasmo), facendo notare diverse carenze metodologiche nello studio. In particolare Cau sottolinea come la nuova teoria si faccia incautamente forza su “ipotesi obsolete o del tutto prive di evidenze empiriche”, selezionando tra l’altro quelle che più fanno comodo e si confanno alla tesi sostenuta.
Che ci si esprima in termini più o meno moderati, l’obiezione di fondo è la medesima: il cambiamento del magnetismo terrestre avvenuto nel periodo in cui si fa risalire l’estinzione dei Neanderthal più che una causa sembra essere una coincidenza, così come ce ne sono state altre. E anche se mediaticamente parlando la risonanza sarà inferiore, dovrebbe essere il rigore scientifico a prevalere.
Francamente trovo più credibile la versione legata all’evento di Laschamp piuttosto che la tanto blasonata supremazia culturale con conseguente “vittoria” dell’homo sapiens nei confronti dell’homo neanderthalensis. Per il semplice fatto che i Neanderthalensis erano molto più forti fisicamente, e vivevano in Europa da più tempo rispetto ai sapiens, ergo erano più adattati al clima rigido europeo rispetto ai sapiens, da poco reduci dal più recente Out of Africa. Inoltre i neanderthalensis erano più veloci nella scheggiatura delle pietre rispetto ai sapiens, che erano invece più abili nel conferire alla pietra forme più complesse. Ritengo improbabile che i sapiens, molto più deboli fisicamente, arrivati più tardi in un habitat più rigido, e più lenti nel produrre ipotetiche armi, possano aver sopraffatto un’altra specie umana, i neanderthalensis, più robusti e forti, meglio adattati al freddo e più svelti nella scheggiatura delle pietre. Prove invece a sostegno di una probabilmente pacifica convivenza fra le due specie sono corroborate dalla, seppur esigua, percentuale di geni neanderthalensis (tra il 2 e il 3%) riscontrata nel dna dell’odierno uomo moderno.
Un appassionato di paleo antropologia.