I prezzi alle stelle della benzina spingono sempre di più i consumatori, i produttori e i decisori politici a guardare con interesse ai biocarburanti, come etanolo o biodiesel, ottenuti a partire dalle coltivazioni di cereali, barbabietole, canna da zucchero e colza. Il dibattito sul tema si è riacceso anche in Italia lo scorso anno, in seguito al tam tam mediatico sulla possibilità (illegale) di alimentare i motori delle automobili con olio vegetale acquistato a basso prezzo al supermercato, risparmiando denaro, inquinando di meno e senza subire danni, per guasti o per scarso rendimento. In realtà, fare un bilancio su larga scala dei pro e dei contro di produzione, utilizzo e sostenibilità per l’ambiente dei biocarburanti è molto più complesso di quanto si possa lasciar credere.
L’ultimo studio scientifico a esprimersi in materia appare questa settimana su Science e spezza una lancia a favore dell’efficienza energetica e ambientale dell’etanolo, l’alcol di derivazione vegetale che negli Stati Uniti rappresenta il due per cento delle miscele di carburante utilizzate su strada. I ricercatori della Università di California a Berkeley hanno condotto una rigorosa analisi di sei studi pubblicati in precedenza, due dei quali giungevano a conclusioni negative e opposte: la produzione di etanolo richiede più energia di quanto l’etanolo sia poi in grado di restituire.
Ma allora chi ha ragione? Per rispondere alla domanda, gli scienziati hanno dissezionato gli studi punto per punto, ripetuto i calcoli effettuati, aggiornato le informazioni inserite, corretto le assunzioni errate e le “omissioni” ai dati. Una volta fatte le modifiche, le tesi concordano: coltivare i cereali per derivare il biocarburante comporta un minor consumo di petrolio rispetto alla produzione di benzina. E può ridurre del 10-15 per cento l’immissione di gas a effetto serra nell’atmosfera. Ma un problema complesso come quello dei consumi energetici non si presta a facili conclusioni.
Se è impensabile, infatti, che le coltivazioni di cereali possano affrancare gli automobilisti dalle fonti fossili, potrebbe essere molto vantaggioso far coesistere le risorse, cioè incentivare il ricorso all’etanolo come additivo al carburante, senza apportare costose modifiche al motore.Una transizione verso l’etanolo, secondo i ricercatori, è possibile però solo puntando su nuove tecnologie, per ricavare l’alcol non dai cereali, ma dalla cellulosa, cioè dalla conversione per fermentazione batterica della fibra legnosa. Per il momento si tratta di metodi troppo costosi e inutilizzabili.
Ma, secondo Alex Farnell, uno degli autori dello studio, le cose potrebbero cambiare nel giro di cinque anni. E non sono solo i ricercatori statunitensi a riporre grandi speranze nei biocombustibili. Anche la Commissione di Bruxelles si sta battendo per rafforzare un maggiore uso di carburanti vegetali. Con risultati però deludenti: l’obiettivo, fissato per lo scorso anno, di raggiungere il due per cento dei consumi su scala europea, è infatti fallito per tutti i paesi, con la sola eccezione della Germania. Il prossimo appuntamento è per il 2010, ma il traguardo è più ambizioso: la quota di carburante bio dovrebbe arrivare al sei per cento.