In termini evolutivi il successo di un organismo può essere valutato misurando la quantità dei suoi geni presenti nelle generazioni successive. Eppure, il sesso, che a livello biologico è considerato un meccanismo lento, che richiede molta energia, e che abbassa il numero dei propri geni nelle generazioni successive perché li mischia con quelli del proprio partner, si è affermato negli anni come una delle strategie più efficaci di riproduzione e adattamento all’ambiente.
Perché? La risposta, ovviamente, non è una sola, e uno studio dell’Università di Stirling, nel Regno Unito, ha dimostrato che uno dei vantaggi della riproduzione sessuale riguarda la sua capacità di aiutare le generazioni successive a resistere alle infezioni.
La variabilità genetica che si osserva da una generazione all’altra è un fattore che è stato ampiamente favorito dall’introduzione del sesso come meccanismo di riproduzione, contribuendo all’evoluzione e adattamento all’ambiente di molte specie, inclusa la nostra.
Cambiamenti su larga scala come questo, però, sono difficili da riprodurre in laboratorio, e i ricercatori trovano tuttora difficoltà a mostrare quali elementi sono riusciti a favorire il sesso rispetto a una riproduzione di tipo clonale in cui ogni individuo è uguale a quello successivo.
Nell’esperimento descritto sui Proceedings of the Royal Society B, Stuart Auld e colleghi hanno usato un approccio innovativo per valutare costi e benefici del sesso. Servendosi di un organismo in grado di riprodursi sia sessualmente sia asessualmente, la Daphnia magna, un piccolo crostaceo planctonico, i ricercatori hanno scoperto che la prole generata da riproduzione sessuale è ben due volte più resistente alle infezioni rispetto ai cloni provenienti da riproduzione asessuale.
Per dimostrarlo il team di ricerca dell’Università di Stirling ha raccolto nei pressi delle coste scozzesi più di 6mila pulci d’acqua (così viene comunemente chiamata la Daphnia). In seguito, dopo averle separate e fatte riprodurre sessualmente e asessualmente, ha esposto questi esemplari al parassita Pasteuria ramosa. L’operazione è stata ripetuta a distanza di un anno, in modo da valutare la resistenza sviluppata nel tempo dagli organismi che nel frattempo avevano continuato a riprodursi in entrambi i modi.
“Comparando individui provenienti dalla stessa madre abbiamo scoperto che la prole proveniente da una riproduzione di tipo sessuale si ammala meno della prole generata per via clonale” racconta Auld su Phys.org. “Il costante bisogno di evitare le malattie può aiutare a spiegare perché il sesso si sia affermato come mezzo efficace di riproduzione nonostante i costi che comporta”.
Via: Wired.it