Nel 2003, una ricerca analoga si beccò anche un IgNobel per la Medicina, il riconoscimento che ogni anno viene riservato agli studi più strampalati. Eppure che il cervello dei tassisti, in particolare di quelli londinesi, abbia delle caratteristiche tutte particolari, ha un fondamento scientifico di tutto rispetto. E gli studi su questi guidatori continuano a riservare sorprese importanti anche in settori molto seri, come per esempio in campo neurologico. Ora i ricercatori dello University College London hanno pubblicato su Current Biology uno studio sull’evoluzione cerebrale di alcuni aspiranti taxi driver londinesi nel corso dei duri test per ottenere la licenza. E la ricerca dimostra che, nei circa quattro anni in cui la memoria degli apprendisti “si abbuffa” di geografia urbana, la struttura dei loro cervelli cambia in modo evidente e nuova materia grigia viene accumulata.
Ottenere la licenza di tassista londinese è un obiettivo ambizioso, poiché richiede un immenso sforzo intellettivo. Requisito fondamentale, infatti, è fissare nella mente l’intera mappa della metropoli, ovvero i nomi e la disposizione di 45 mila tra vie e punti di riferimento: quasi il tentativo di somigliare a un navigatore GPS. L’ “apprendistato” richiede fino a quattro anni e le competenze acquisite sono poi messe alla prova da una serie di esami, che solo la metà dei candidati riesce a superare.
Incuriosita dai possibili effetti di queste prove sul sistema nervoso, Eleanor Maguire – neuroscienziata, fra gli autori dello studio – già da tempo aveva evidenziato che i tassisti londinesi hanno più materia grigia nella parte posteriore dell’ippocampo (la regione del cervello implicata nella navigazione spaziale e nella memoria), rispetto ai non tassisti. Queste osservazioni suggerivano che il cervello si può modificare per accogliere meglio le informazioni spaziali.
Nel nuovo lavoro, insieme alla collega Katherine Woollett, la Maguire ha seguito un gruppo di aspiranti tassisti, mettendone alla prova la memoria e collezionando tomografie dei loro cervelli (prese in vari momenti). All’inizio, la struttura del cervello era uguale in tutti i soggetti ma, trascorsi quattro anni, sono emerse importanti differenze. In coloro che avevano conquistato la licenza, la parte posteriore dell’ippocampo risultava arricchita in materia grigia, mentre non c’erano cambiamenti visibili nei partecipanti “respinti”.
“Il cervello umano rimane “plastico” anche nella vita adulta, conservando la capacità di adattarsi quando vengono apprese nuove funzioni”, commenta Maguire, secondo cui il principale risultato dello studio è l’aver dimostrato che la struttura dell’ippocampo (tra l’altro, l’unica zona del sistema nervoso in cui è appurato possano nascere nuovi neuroni) può cambiare attraverso stimoli esterni. La questione ancora da chiarire, però, è se i cambiamenti cerebrali riscontrati dipendano dall’efficienza di apprendimento oppure da una predisposizione genetica, magari espressa in un ippocampo più “plastico”. In ogni caso, concludono le autrici, i risultati sono interessanti perché danno speranza a chi si sottopone a riabilitazione in seguito a un danno cerebrale, o a chi vuole prevenire le demenze tenendo in allenamento il cervello.
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