L’Università di Pisa ha appena vinto un bando della Commissione europea da 1,2 milioni di euro per produrre statistiche sulle università di tutti i paesi membri. I primi risultati saranno pubblicati entro giugno 2010. Abbiamo chiesto ad Andrea Bonaccorsi, coordinatore del progetto e docente di Economia e gestione delle imprese di raccontarci di cosa si tratta esattamente.
Professor Bonaccorsi, in cosa consisterà il vostro lavoro?
“Nel censimento di tutte le università europee e nella pubblicazione di numerosi dati dei singoli istituti, per garantire trasparenza e una reale possibilità di confronto e di scelta da parte di governi, finanziatori e studenti. A oggi non esistono statistiche simili, anche perché in diverse nazioni esiste un “segreto statistico” che vieta di pubblicare alcuni tipi di dati. La difficoltà maggiore sarà, infatti, far sedere al tavolo delle trattative i diversi istituti nazionali di statistica per ottenere le informazioni che ci interessano e il permesso di pubblicarle. Produrremo anche una lista delle università più attive nella ricerca: un sottogruppo di alcune centinaia di atenei selezionati in base ai titoli di dottorato assegnati e alle pubblicazioni internazionali. L’obiettivo è anche mostrare un quadro del mondo universitario europeo non distorto, come è invece quello offerto dalle due principali classifiche mondiali, quelle della Shanghai Jiao Tong University e del Times (Times Higher Education)”.
Cosa vuol dire che il quadro offerto da questi due indicatori è distorto?
“Nella graduatoria di Shanghai sono presi in considerazione soprattutto parametri riguardanti la ricerca scientifica; per esempio il numero di pubblicazioni e la presenza degli autori più citati nelle riviste scientifiche internazionali, la presenza di premi Nobel (solo per fisica, medicina, chimica ed economia, ndr.), le pubblicazioni su Nature e Science. Questi criteri svantaggiano le università a connotazione umanistica o tecnica, quelle più piccole o più recenti. Il conto delle pubblicazioni per esempio si basa sui dati dell’Institute for Scientific Information (Isi) di Filadelfia, che valorizza le scienze pure, come la biologia, la fisica o la chimica ma trascura l’ingegneria e non considera le scienze umanistiche. Noi, invece, confrontiamo questo indicatore anche con altri due, nuovi e disponibili in rete gratuitamente: Scopus, un archivio on line realizzato da un insieme di editori, e Google Scholars“.
Per quanto riguarda la classifica del Times invece?
“Il World Ranking del Times preoccupa molti esperti perché non è rigoroso quanto quello di Shanghai. I dati infatti provengono da sondaggi che hanno un tasso di risposta spesso molto basso. Per esempio il sondaggio relativo all’ingresso nel mondo del lavoro dopo la laurea coinvolge solo manager e responsabili del personale di alcune imprese e risponde solo 5 per cento del campione intervistato. Molto al di sotto della percentuale accettabile. Per quanto riguarda l’occupazione dopo il titolo sono molto più affidabili i dati Istat e quelli di Almalaurea“.
Voi fornirete questo dato?
“No, noi puntiamo a produrre dati che abbiano una comparabilità europea; è molto improbabile che ogni istituto nazionale di statistica abbia fatto indagini di questo tipo, l’Italia in questo senso è più avanti degli altri. Dove disponibili indagini nazionali rigorose e riconosciute, questi dati potrebbero essere forniti come integrazione”.
Quali parametri prenderete in considerazione quindi?
“Prima di tutto i dati anagrafici: dove si trovano gli atenei, quando sono stati fondati, e così via. Poi gli “input”, ovvero il personale amministrativo, i docenti, i ricercatori, i dottorandi e i bilanci, anche se difficilmente riusciremo a pubblicare questi ultimi: sono dati molto delicati perché permettono di scoprire, per esempio, quanto delle spese universitarie è coperto dalle tasse degli studenti, e quanto dai finanziamenti privati delle aziende. In terzo luogo andremo a guardare gli “output”, ovvero quello che l’università produce: i laureati di tutti gli ordinamenti compresi master e dottorati, le pubblicazioni scientifiche, i brevetti, le imprese spin-off, i contratti di licenza. Infine valuteremo se sono presenti scuole di specializzazione, ospedali universitari e altre istituzioni collegate all’ateneo”.
Stilerete classifiche?
“No, non è il nostro obiettivo. Semmai forniremo una base rigorosa su cui poi chiunque potrà fare dei ranking per ogni singolo parametro”.
Il vostro è l’unico progetto di questo tipo in Europa?
“No, a dire il vero il panorama è un po’ affollato. Il nostro è l’unico censimento; esiste un altro progetto che darà una classifica vera e propria, realizzata su un campione di università dal consorzio di centri di ricerca Cherpa, di cui fanno parte il Che (Centre for Higher Education Development) tedesco e il Chep (Center for Higher Education Policy Studies) olandese, due vere autorità”.
Chi partecipa al progetto oltre l’Università di Pisa?
“Il nostro ateneo coordinerà altri quattro istituti, lo Joanneum Research austriaco, l’università di Lugano (Svizzera), l’Istituto Fraunhofer in Germania e il Nifu, un centro di ricerca norvegese”.