L’arrivo della variante omicron ha segnato un cambio di passo importante nella pandemia. Ne abbiamo appena preso atto in Italia, e non solo, con l’adozione delle nuove regole per vaccinati e guariti. L’assunto di base – secondo alcune voci un vero e proprio azzardo – è che, a fronte sì di una maggiore facilità di trasmissione ma probabile ridotta gravità dei sintomi, sia necessario iniziare a convivere con il virus cercando di arginarne i danni. Questo significa forse che potremmo considerare finita la fase emergenziale pandemica? Quando potremmo dirci che di fatto ne siamo fuori?
Quello che accadrà è ovviamente impossibile da prevedere, ma alcuni indizi – no, non parliamo delle scommesse sulla gravità o meno del virus, su cui studi sono ancora in corso – potrebbero far ben sperare per il prossimo futuro. Lo ha detto chiaramente il numero uno dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nel suo messaggio di saluto all’infausto 2021, il secondo anno in piena pandemia, in quello che è un bilancio di quanto fatto e una sorta di chiamata alle armi per quello che resta ancora da fare.
Abbiamo sviluppato vaccini efficaci contro il virus e le sue varianti – contro omicron, lo ricordiamo, è soprattutto il richiamo a ristabilire una buona protezione da contagi e malattia – ma anche trattamenti, e abbiamo dimostrato che possono fare molto nel ridurre la mortalità da Covid-19. Ma il cosiddetto nazionalismo vaccinale, la corsa all’accaparramento dei vaccini da parte di alcuni paesi, l’impossibilità di farlo per altri – in una parola, la diseguaglianza – sono stati e rimangono l’ostacolo principale nella lotta al virus, dice Tedros, ammettendo chiaramente come tutto questo abbia favorito l’emergere della variante omicron. “Se riusciremo a porre fine a questa ingiustizia, porremo fine anche alla pandemia…più a lungo continuerà la diseguaglianza, più è alto il rischio che il virus possa evolvere in modi che non possiamo prevenire o predire”.
Le speranze sono riposte in programmi per l’accesso ai test, trattamenti e ovviamente vaccini, come Covax, l’iniziativa per la distribuzione equa dei vaccini, soprattutto nei paesi meno sviluppati, che nel 2021 però ha sofferto di non pochi ritardi e problematiche. A oggi sono circa un miliardo quelli distribuiti attraverso Covax, a fronte degli oltre nove distribuiti a livello globale. E se le percentuali di vaccinazione globale, almeno con una dose, sfiorano il 60%, sono intorno all’8% per i paesi a basso reddito (dati Ourworlindata).
Il 2022 può essere l’anno della svolta, scommette il capo dell’Oms: “sono fiducioso che sarà l’anno in cui metteremo fine alla pandemia, ma solo se lo faremo insieme”. E il primo passo è allargare le vaccinazioni, con lo scopo di arrivare a vaccinare il 70% delle persone, in tutti i paesi, in tutto il mondo, entro la metà dell’anno in corso. Il lavoro da fare è tanto, soprattutto a scorgere la situazione attuale.
E mentre ai governi e istituzioni spetta il compito di lavorare a strategie per aggiornare piani pandemici, assicurare attività di test e sequenziamento, e incentivare le vaccinazioni, tutti sono chiamati a fare la loro parte. Con le misure che abbiamo imparato a conoscere bene: dalle mascherine al distanziamento.
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