La vicenda di Fabiano Antonioni si è ormai conclusa. E come la sua quella di Gianni Trez, il pensionato veneziano di 65 anni che ha scelto il suicidio assistito nella stessa struttura svizzera. Ma per tanti italiani nella medesima situazione, la lotta continua. È più che mai necessario quindi riflettere sul vuoto normativo che ha costretto il quarantenne Dj Fabo, tetraplegico e cieco da tre anni, ad abbandonare il suo paese e recarsi in Svizzera per morire alle proprie condizioni, con dignità. Perché l’Italia, in netto ritardo con il resto d’Europa, non ha ancora leggi sul testamento biologico, che regolino il tema del fine vita e più in generale il diritto dei cittadini di scegliere quali cure accettare, quali rifiutare, quando e come lasciare questo mondo. Diritti ritenuti da molti fondamentali, ma la cui applicazione oggi è ancora demandata, almeno nella pratica, alle decisioni di giudici e personale sanitario. E dire che di leggi ne sono state proposte anche troppe: una sul testamento biologico, o dichiarazione anticipata di trattamento, ben sei di iniziativa parlamentare e una di iniziativa popolare che affrontano il tema dell’eutanasia. L’unica che per ora sembra procedere è quella sul testamento biologico, il ddl sulle cosiddette “disposizioni anticipate di trattamento”, che dopo innumerevoli rinvii dovrebbe approdare alla camera il 13 marzo. Ma di cosa parlano effettivamente le proposte di legge, e in che modo la loro approvazione influirebbe su vicende come quella di Dj Fabo?
Una legge sulle dichiarazione anticipata di trattamento servirebbe quindi a riconoscere il diritto ai cittadini italiani di decidere in precedenza, quando si è nel pieno delle proprie facoltà mentali, quali trattamenti medici accettare o rifiutare nel caso in cui un incidente o una malattia non permettano più di esprimere una preferenza. Dopo un tentativo naufragato nel 2010, durante l’ultimo governo Berlusconi, attualmente il parlamento sta lavorando su un testo presentato dall’onorevole Donata Lenzi, che come anticipato approderà alla camera il 13 marzo.
Cosa prevede il decreto? Il cuore del testo è l’articolo tre, che disciplina le disposizioni anticipate di trattamento, e prevede di poter esprimere le proprie preferenze riguardo ai trattamenti sanitari che si riceveranno, “nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”. Il testo sta facendo discutere molto, per le immancabili resistenze del mondo cattolico, ma è ritenuto soddisfacente da più parti. Tutto dipenderà però dagli emendamenti che verranno accolti al termine della discussione. L’aggiunta di termini come “tutela della vita”, riferimenti alla “deontologia professionale”, o la possibilità di rivolgersi a un giudice in caso di disaccordo tra parere del medico e volontà del paziente, rischiano di svuotare il testo e renderlo inutile. È questa almeno l’opinione dell’Associazione Luca Coscioni, in prima linea da anni nella lotta dei pazienti per ottenere una legge sul testamento biologico.
“Il testo originale è un buon testo, ma bisogna chiarire queste formulazioni vaghe per evitare il rischio che si trasformi in una legge inutile”, spiega Filomena Gallo, segretario della Luca Coscioni. “La legge deve prevedere esplicitamente i trattamenti che possono essere sospesi, fare riferimento ad esempio alla possibilità di accedere alla sedazione profonda continua. Il rischio è che con un testo vago i pazienti si vedano costretti a rivolgersi ai tribunali per fare valere i propri diritti. E se fino a oggi sono stati i giudici a colmare un vuoto legislativo, come accaduto per esempio con Walter Piludu, la nuova legge servirebbe proprio per cambiare questa situazione, e rendere automatico il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del paziente”.
Anche con l’approvazione di questa legge comunque, le norme non si applicherebbero a casi come quello di Dj Fabo, quello di Gianni Trez o dei due italiani che, come annunciato dal tesoriere dell’associazione Marco Cappato sarebbero proprio in questi giorni in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito. Del diritto a sospendere, o accorciare, volontariamente la propria vita per sfuggire al dolore o alla disabilità si dovrebbero occupare infatti le altre proposte di legge sull’eutanasia, in attesa di essere discusse. Sei di queste sono di iniziativa parlamentare, e potrebbero confluire in un testo unificato. Non si tratta di norme che riconoscono il diritto a sospendere volontariamente la propria vita, ma di leggi che regolano il consenso informato o il testamento biologico e prevedono di normare alcune aree grigie come la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata, chiarire il concetto di accanimento terapeutico, o la possibilità di ricorrere a “sostanze idonee ad alleviare la sofferenza, anche nei casi in cui le stesse possono portare a un’abbreviazione della durata della vita”. Una sesta invece è di iniziativa popolare e affronta esplicitamente il tema dell’eutanasia.
Cosa prevede il testo di quest’ultima? Che “ogni cittadino può rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale e/o terapia nutrizionale”, e che il personale sanitario sia tenuto a rispettarne la volontà. Che un paziente maggiorenne affetto da “una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi” e nel pieno delle sue facoltà abbia diritto all’eutanasia. Che il trattamento eutanasico deve comunque rispettare la dignità del paziente e non provocare sofferenze fisiche. La richiesta deve essere attuale e accertata, i parenti del paziente devono esserne informati. Se venisse approvata, pazienti nelle condizioni di Dj Fabo potrebbero trovare più facilmente sollievo alle proprie sofferenze nel propri paese.
“Si tratta di un testo più comprensivo – spiega Gallo – depositata da oltre 67mila cittadini attraverso la nostra associazione. Entro la prossima legislatura pretenderemo che venga discussa in parlamento, perché le proposte di legge di iniziativa popolare decadono dopo due legislature”.