Fisica delle particelle, pronto l’acceleratore che produce isotopi rarissimi

Acceleratore di particelle

È stato appena inaugurato, nel campus della Michigan State University, il Facility for rare isotope beams (Firb), enorme acceleratore di particelle la cui costruzione era iniziata sei anni fa e che è costato quasi un miliardo di dollari. La comunità dei fisici delle particelle non vede l’ora di metterci le mani: si tratta, infatti, come suggerisce il nome, di uno strumento che ci consentirà di produrre isotopi rari, molti dei quali mai sintetizzati finora, e di studiare fenomeni ancora poco conosciuti a tutte le scale spaziali, dai nuclei atomici esotici a ciò che avviene durante le esplosioni delle supernovae.

“Questo progetto – ha spiegato a Nature Ani Aprahamian, fisico sperimentale alla University of Notre Dame in Indiana – è la realizzazione di un sogno di tutta la comunità dei fisici nucleari”. “È una struttura che aspettavamo da tantissimo tempo”, gli ha fatto eco Kate Jones, della University of Tennessee di Knoxville. Il Firb è stato progettato per raccogliere l’eredità di un altro acceleratore, il National superconducting cyclotron laboratory (Nscl), che sorgeva nello stesso luogo, e aumentare ulteriormente la potenza disponibile per la produzione di isotopi rari in quantità sempre maggiore. Gli esperimenti, come racconta Davide Castelvecchio sempre sulle pagine di Nature, inizieranno nella parte più sotterranea dell’acceleratore di particelle, dove una miscela di atomi di uranio sarà ionizzata e spedita in un “tubo” lungo 450 metri, ripiegato a forma di graffetta in una sala lunga 150 metri circa. Arrivato alla fine del tubo, il fascio di atomi ionizzati colpirà una ruota di grafite (in rotazione continua, per evitare che sia colpita sempre nello stesso punto e si possa quindi surriscaldare); a questo punto, una frazione dei nuclei degli atomi ionizzati colpirà i nuclei degli atomi di carbonio della ruota, rompendosi in combinazioni più piccole di protoni e neutroni. Ovvero isotopi di elementi diversi.


Lhc, tutto pronto per il nuovo round di esperimenti


Questi isotopi, quindi, saranno indirizzati verso un altro strumento, una sorta di “centrifuga separatrice” che, per mezzo di magneti, devierà ciascun isotopo lungo un angolo diverso: analizzando questo angolo, i ricercatori potranno dunque inferire di quale isotopo si tratta. All’inizio, per “scaldarsi”, Firb comincerà a lavorare con potenze relativamente basse, che saranno poi gradualmente innalzate fino a superare di diversi ordini di grandezza quelle raggiunte dal suo predecessore: a questo punto, secondo i suoi costruttori, sarà finalmente possibile cominciare a produrre gli isotopi più rari, quelli su cui i fisici non vedono l’ora di gettare lo sguardo.

Tra questi, i più interessanti sono i cosiddetti “isotopi magici”, quelli che hanno un numero di protoni e neutroni (per esempio 2, 8, 20, 28, 50) tale che la struttura del nucleo è particolarmente stabile: proprio in virtù della loro “robustezza”, nuclei di questo genere si prestano molto bene a esperimenti di test dei modelli teorici, per esempio quelli volti a comprendere come si siano formati tutti gli elementi della tavola periodica. Sappiamo infatti che il Big Bang ha portato alla produzione di idrogeno ed elio (gli elementi più leggeri della tavola periodica), e che gli elementi più pesanti, fino al ferro, si sono formati grazie ai processi di fusione che sono avvenuti e avvengono nei nuclei delle stelle; ma conosciamo con meno certezza come si siano formati gli elementi ancora più pesanti. L’ipotesi – ancora da verificare – è che la loro formazione sia ascrivibile a processi “cataclismatici” come, per l’appunto, l’esplosione delle supernovae o la fusione di stelle di neutroni: “Gli astrofisici, fino a oggi –  spiega Hendrik Schatz, della Michigan State University – non sono ancora riusciti a osservare quali elementi di preciso sono stati creati, né in quali quantità: uno dei punti di forza di Firb sta nella sua capacità di esplorare fenomeni di produzione di isotopi di questo tipo”. In bocca al lupo.

Credits immagine: Michigan State University
Via: Wired.it