All’indomani del voto del Parlamento Europeo che a larghissima maggioranza – contrari solo i gruppi di estrema destra – si è dichiarato a favore della moratoria sulla pena di morte, Amnesty International ha presentato questa mattina a Roma il suo rapporto annuale sull’applicazione della pena capitale. Durante il 2006, almeno 1.591 persone sono state messe a morte in 25 paesi e almeno 3.861 imputati sono stati condannati a morte in 55 paesi. Numeri che fotografano per difetto la realtà: il rapporto considera infatti solo i casi dei quali l’associazione per la difesa dei diritti umani è a conoscenza. In Cina, per esempio, le fonti pubbliche dichiarano 1.010 persone messe a morte ma fonti che l’associazione considera attendibili parlano di almeno 7.500 condannati.
Altrettanto difficile risulta stabilire quante siano le persone in attesa di esecuzione: sulla base di informazioni provenienti da organizzazioni per i diritti umani, dai mezzi di comunicazione e da informazioni governative non sempre complete, soprattutto se provenienti da paesi dove l’applicazione della pena di morte è considerata segreto di Stato, Amnesty valuta che siano tra 19.185 e 24.646.
Nel 2006, il 91 per cento di tutte le esecuzioni conosciute è avvenuto in soli sei nazioni: Cina, Iran, Pakistan, Iraq, Sudan e Usa. Il primato del più alto numero di condanne pro capite però è del Kuwait, seguito dall’Iran. In totale nel mondo 128 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica; 69 mantengono in vigore la pena capitale, ma il numero di quelli dove le condanne a morte sono effettivamente eseguite è molto più basso. Nel 2006, le Filippine hanno abolito la pena di morte per tutti i reati; Georgia e Moldavia hanno eliminato le clausole sulla pena capitale dalla loro Costituzione.
Dal 2000, i metodi maggiormente utilizzati per l’uccisione dei prigionieri sono la decapitazione (in Arabia Saudita e Iraq), la fucilazione (in Bielorussia, Cina, Somalia, Taiwan, Uzbekistan, Vietnam e altri paesi), l’impiccagione (in Egitto, Giappone, Giordania, Iran, Pakistan, Singapore e altri paesi), l’iniezione letale (in Cina, Filippine, Guatemala, Thailandia e Usa), la lapidazione (in Afghanistan e Iran), la sedia elettrica (negli Usa) e il pugnale in Somalia.
Contro l’iniezione letale, bollandola come tortura, si è pronunciato uno studio apparso sull’ultimo numero di PLoS Medicine, che ha preso in esame 41 esecuzioni avvenute in California e nella Carolina del Nord. Secondo i ricercatori, il sodio tiopentale, barbiturico che serve a far perdere conoscenza, viene somministrato in modo inefficace, ovvero in quantità fissa, senza tenere conto delle caratteristiche del detenuto, come il peso corporeo o eventuali patologie. Non addormentato completamente, il detenuto avvertirebbe la sensazione di soffocamento indotta dalla seconda sostanza somministrata, il bromuro di pancuronium, che ha effetto paralizzante. Infine, la somministrazione di cloruro di potassio, che provoca l’arresto cardiaco, provocherebbe nel condannato la sensazione di star bruciando. L’articolo è accompagnato da un editoriale firmato dalla redazione in cui si spiega che l’intento non è quello di migliorare il protocollo, bensì suggerire la necessità di abolire del tutto la pena di morte. (l.g.)