Riprendersi da uno shock come quello dell’11 marzo 2011 è difficile, così come lo è fidarsi delle centrali nucleari vecchie quanto quella di Fukushima. Infatti, dopo l’incidente che ha messo in ginocchio il Giappone, le autorità governative hanno ordinato lo spegnimento di tutti i 54 reattori presenti sul territorio nazionale eccetto 3.
Ma con il documento approvato ieri dalla International Atomic Energy Agency (Iaea), per il paese potrebbe essere molto più facile riavviare gli impianti. Tutto merito del fatto che gli stress test svolti dall’Agenzia per la sicurezza nucleare (Nisa) sono stati riconosciuti come validi da parte della comunità internazionale.
Ma, come riporta il Guardian, non mancano le critiche, tutte incentrate sulla possibilità che i controlli attuali non siano sufficienti. A dirlo sono Masashi Goto, un ex progettatore di centrali, e Hiromitsu Ino, professore della Tokyo University da sempre attivo nel campo della sicurezza nucleare.
Secondo i due esperti, le procedure di valutazione adottate dalla Nisa si limiterebbero a passare al setaccio le specifiche tecniche degli impianti giapponesi per controllare che questi rispettino le norme vigenti. Insomma, niente di differente da quanto non fosse già stato fatto prima dell’incidente di Fukushima.
A peggiorare le cose, spiega Ino, concorrerebbe il fatto che le indagini sull’incidente dell’11 marzo scorso non sono ancora state in grado di fornire un quadro esatto di cosa sia accaduto all’interno della centrale di Fukushima. Poco importa se i criteri degli stress test pianificati in Giappone ricalcano fedelmente quelli delle prove condotte in Europa.
Nel frattempo, i primi controlli effettuati da Nisa hanno assegnato il bollino verde alla centrale di Oi gestita dalla Kansai Electric Power. Secondo i dati rilasciati dal gestore, sulla carta l’impianto è progettato per resistere a onde di tsunami alte 11,4 metri e a un terremoto 1,8 volte più forte di quanto previsto durante le fasi di costruzione. Di fatto, sono tutti dati che non dimostrano affatto la volontà di condurre test più approfonditi sulla possibilità che si possano verificare anche errori umani o incidenti inattesi.
A tutto questo si aggiunge la proposta varata dal governo giapponese il 25 gennaio scorso, che fissa il limite d’età delle centrali nucleari a 40 anni ma, allo stesso tempo, prevede delle deroghe speciali di ulteriori 20 anni. Sembra quindi che il Giappone non abbia serie intenzioni di dismettere i vecchi reattori con tanta facilità.
Probabilmente, l’esito positivo degli stress test giocherà un ruolo fondamentale nel facilitare il riavvio e il mantenimento in funzione dei reattori over 40. Forse, prima di prolungare la pensione dei reattori di vecchia generazione sarebbe il caso di domandarsi se i danni provocati da una nuova Fukushima potranno essere ancora accettabili.
via wired.it
Credit immagine: IAEA Imagebank/ Flickr
A essere precisi la maggioranza dei reattori giapponesi (a parte ovviamente i primi quattro di Fukushima Daiichi) sono fermi per manutenzione e/o controlli periodici già programmati in precedenza.
Solo in pochissimi casi lo spegnimento è stato ordinato dal governo (che ora però deve decidere se riavviare quelli pronti a ripartire).