A sei anni dalla catastrofe della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, in Giappone, sembra che migliaia di cittadini potrebbero cominciare a tornare nelle proprie case.
Se da una parte, infatti, diversi studi hanno evidenziato che i livelli di radiazione all’interno della centrale nucleare continuano a salire, è appena arrivata una nuova ricerca, pubblicata sul Journal of Radiological Protection, che sembra smentire tale scenario: secondo gli autori dello studio, un team di ricercatori coordinato da Makoto Miyazaki, radiologo della Fukushima Medical University, e Ryugo Hayano, fisico dell’Università di Tokyo, vivere in alcune aree intorno alla centrale nucleare non sarebbe infatti più da considerarsi a rischio e i livelli di radioattività non sarebbero più pericolosi.
Stando all’analisi degli scienziati, la combinazione del decadimento radioattivo naturale e degli agenti atmosferici, come la pioggia e la neve, avrebbe ridotto notevolmente i livelli di radiazione, il che potrebbe rendere concreta la possibilità di ripopolare alcune aree intorno alla centrale.
I ricercatori, in particolare, hanno analizzato le misurazioni delle radiazioni per monitorare i livelli di radioattività intorno a Date, città giapponese della prefettura di Fukushima che dista 60 chilometri dal sito della catastrofe, mai stata evacuata. I risultati dello studio hanno evidenziato che gli abitanti sono sottoposti a un livello di radiazioni di 18 millisievert nella zona A, la parte più contaminata della città.
Questo valore è estremamente basso se pensiamo che l’International Commission on Radiological Protection considera accettabile una dose compresa tra 1 e 20 millisievert all’anno. I ricercatori hanno scoperto che i livelli, principalmente causati del cesio radioattivo, sono diminuiti del 60% tra il 2011 e il 2013. Inoltre, sono stati effettuati alcuni esperimenti per stimare e verificare, sempre all’interno della città, l’ulteriore diminuzione dei livelli di radioattività nel corso dei prossimi 70 anni.
Miyazaki e Hayano hanno anche suggerito come i metodi di decontaminazione, come la rimozione del suolo superficiale e il lavaggio dei tetti siano stati poco incisivi in questi anni e non abbiano avuto, quindi, alcun impatto misurabile sui livelli di radiazione della città e delle 425 persone che vivono nella zona A, presi in esame dall’ottobre del 2012. “In questa popolazione non abbiamo visto una grande diminuzione della dose individuale”, spiega Hayano. Ciò non vuol dire che la decontaminazione non avrebbe dovuto essere effettuata, ma che “i livelli di radiazione sono diminuiti in primo luogo perché il cesio radioattivo è fisicamente decaduto ed è stato lavato via dalla pioggia e dalla neve”.
I risultati della ricerca saranno utili non solo ai 52mila sfollati che, durante questo mese, riceveranno la proposta di poter tornare nelle proprie case, ma anche per fronteggiare con maggior consapevolezza un eventuale futura catastrofe.
Via: Wired.it