Fumo e COVID-19: cosa sappiamo sul rischio infezioni e malattia

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(Credits: Mathew MacQuarrie on Unsplash)

Fumare fa male, lo sappiamo. Ma quali sono gli effetti delle sigarette sul rischio di contrarre il coronavirus e di avere forme Covid-19 più gravi? Il tema è dibattuto da tempo, con varie prove che indicano che il fumo aumenterebbe sia il rischio di contagio, come spiega il ministero della Salute, sia di sintomi più forti. Oggi due ricercatrici della Johns Hopkins University tornano sull’argomento richiamando l’attenzione sulla necessità di svolgere più studi. Dall’analisi delle ricerche disponibili la probabilità di andare incontro a decesso, per i pazienti con Covid-19 e fumatori, sarebbe doppia rispetto a quella di chi non ha quest’abitudine. Così essere fumatori è un importante fattore di rischio, che si aggiunge ad altri fattori e condizioni di salute come l’obesità, maggiormente associate a forme gravi. I risultati sono pubblicati sugli Annals of the American Thoracic Society.

Fumo e Covid-19, un tema discusso

Finora della relazione fra fumo e Covid-19 si è parlato molto con prove spesso non conclusive e in qualche caso anche – ma solo a uno sguardo non attento – in contrasto con l’idea che le sigarette aumentino i rischi. Uno studio francese, per esempio, ipotizzava che la nicotina potesse essere in qualche modo protettiva, anche se questo non implicava in alcun modo che fumare non esponga maggiormente a infezioni più severe. Le autorità sanitarie rimarcano che le sigarette potrebbero aumentare anche la probabilità di contrarre l’infezione, anche soltanto perché ci si tocca più spesso le labbra con le dita ed eventualmente con la sigaretta contaminata.


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I problemi degli studi

Un limite, secondo le due ricercatrici, Enid Neptune e Michelle N. Eakin, riguarda il fatto che molte ricerche si sono concentrate sul rapporto fra il fumo e il recettore Ace2, una proteina centrale nel Covid-19, dato che con questa cui il virus aggancia le cellule e si diffonde nell’organismo. “L’uso dell’espressione di Ace2 come indice quantitativo dell’infettività e di morbilità del Sars-Cov-2 è molto problematico”, spiega Neptune. “Per fornire una cornice ai dati sull’espressione dell’Ace2 è necessario svolgere un’approfondita esplorazione su se e come il fumo di tabacco e la nicotina influenzano l’infettività di Sars-Cov-2 o la carica virale (la quantità di virus)”.

Come si dovrebbe procedere ora

Le autrici propongono alcuni aspetti da approfondire per conoscere meglio il ruolo del fumo e anche per indirizzare nuove ricerche sui trattamenti. In particolare, si dovrebbero studiare gli effetti del fumo sulla mucosa nasale, dato che il naso è la principale via di ingresso del coronavirus, mentre finora si è osservato poco cosa accade in questo tessuto nei fumatori.

In secondo luogo si dovrebbe studiare meglio come il tabacco rende vulnerabili al Covid-19. Il fumo rende incapace (o meno abile) il nostro organismo e il sistema immunitario a rispondere al virus oppure contribuisce alla scarsa capacità del corpo di regolare questa risposta (che quando eccessiva, ricordiamolo, fa molto male)?

Bpco e Covid-19

Bisogna poi approfondire cosa succede alle proteine Ras o Sraa (sistema renina-angiotensina-aldosterone). Queste intervengono in alcuni meccanismi cellulari che hanno un impatto anche sulla salute dei polmoni. I clinici sanno ad esempio che l’interruzione di alcune attività di queste proteine può essere protettiva contro danni polmonari causati dal fumo in pazienti con Bpco (broncopneumopatia cronico ostruttiva). Questo potrebbe valere anche nel Covid-19?

Studiare il ruolo della nicotina

Sulla base dei dati potenzialmente favorevoli associati alla nicotina – e non al tabacco – si dovrebbe analizzare meglio il legame fra questo composto e Covid-19, sempre ricordando che la dipendenza da nicotina è uno dei problemi con conseguenze centrali in tema di salute pubblica.

Via: Wired.it

Credits immagine: Mathew MacQuarrie on Unsplash