Ieri, 12 giugno 2018, si è svolto a Singapore lo “storico” incontro fra il presidente americano e il leader supremo della DPRK per discutere della “denuclearizzazione” della Corea del Nord. La cautela è necessaria, data l’imprevedibilità dei due leader, che negli ultimi dodici giorni hanno alternato nei reciproci rapporti toni concilianti a insulti e minacce.
Non è chiaro cosa intendano effettivamente i potenziali negoziatori sulla portata della “denuclearizzazione”. Dalle dichiarazioni ufficiose si desume che gli obiettivi degli americani prevedono che la DPRK fornisca un’informazione completa del suo programma nucleare, smantelli o ceda tutte le armi nucleari esistenti, cessi l’arricchimento dell’uranio e la produzione di plutonio e smantelli le infrastrutture nucleari, sospenda definitivamente i test di missili balistici e sia disponibile a subire ispezioni per attività nucleari e missilistiche in qualsiasi momento e ovunque.
Per comprendere le prospettive di fattibilità e i tempi di un tale programma di disarmo, assolutamente senza precedenti, è opportuno considerare lo stato attuale degli armamenti nucleari della DPRK, al meglio delle informazioni accessibili. Va subito detto che la DPRK mantiene uno stretto segreto sugli aspetti cruciali del suo programma nucleare per cui i dati disponibili sono spesso contradditori se non esagerati.
Un programma nucleare militare richiede tre componenti essenziali:
- materiale fissile di qualità militare
- sviluppo di ordigni operativi ed efficaci (progettazione, realizzazione e verifiche con esplosioni di prova)
- vettori adeguati alle previste operazioni militari.
Il materiale fissile
Ci sono due tipi di materiali fissili che possono produrre esplosioni: plutonio, che si produce nei reattori, e uranio arricchito fino al 90% nella componente 235 mediante impianti a ultracentrifughe. La DPRK ha sviluppato e industrializzato tutto il ciclo del combustibile nucleare, dall’estrazione e trattamento del minerale uranifero, al suo arricchimento, alla produzione di elementi di combustibile per reattori, alla gestione di reattori e al trattamento delle scorie con la separazione di plutonio.
Si può stimare con buona confidenza l’inventario nord-coreano di plutonio, dato che esso viene generato nel reattore da 5 MWe di Yongbyon (figura 1), di cui si conoscono le caratteristiche (impiega uranio naturale, grafite come moderatore ed è raffreddato a gas) e le cui operazioni sono facilmente controllate con satelliti commerciali. La stima corrente fra gli esperti è che il reattore produca circa 6 kg/anno di plutonio e che la DPRK disponga fra 20 e 40 kg di plutonio separato, tenuto conto del periodo di effettivo funzionamento del reattore.
Molto più incerta è la stima dell’uranio arricchito, dato che la consistenza e le operazioni degli impianti di arricchimento non possono venir controllati da satelliti; si ritiene che la quantità di uranio di grado militare sia attualmente fra 250 e 500 kg. La DPRK possiede inoltre impianti per produrre gli elementi necessari per un’arma termonucleare, deuterio, trizio e litio.
Il numero di armi che si possono produrre con il materiale fissile disponibile dipende dalle capacità scientifiche e tecniche dei laboratori e dalla potenza prevista per una data classe di ordigni: una stima ragionevole è che la DPRK abbia prodotto fra 16 e 32 armi, con una capacità annua di 6 o 7 nuove testate.
Le esplosioni di prova
Nel programma nucleare nord-coreano sono impegnati migliaia di scienziati e tecnici con un vasto spettro di competenze. Dopo sei test, inclusi due di potenza moderata e uno di alta resa, non ci sono dubbi che la DPRK sia in grado di produrre potenti ordigni nucleari, utilizzando materiale fissile prodotto localmente.
I primi due test non dimostrarono un’effettiva capacità di produrre un’arma nucleare operativa, anche se la bassa potenza poteva essere giustificata dalla volontà di risparmiare prezioso materiale esplosivo. Il terzo test fu più convincente facendo ritenere possibile che si trattasse di una testata miniaturizzata per impiego su un missile.
La DPRK dichiarò che il suo quarto test era di una “bomba all’idrogeno”, ma la potenza rilasciata era troppo bassa per un ordigno termonucleare e lo stesso è valso per il successivo test: l’ipotesi è che per risparmiare materiale fissile, questi prototipi abbiano usato anche del trizio in una configurazione a fissione potenziata (boosted). L’ultimo test, pure nell’ampia incertezza della resa, è di potenza coerente con un ordigno termonucleare a due stadi o, in alternativa, del tipo fissione potenziata, composito di più materiali fissili.
La recente (24 maggio) distruzione del sito dei test a Punggye-ri, per altro dimostratosi di ottime caratteristiche, è stata giustificata da Kim Jong-un dal raggiunto completamento del proprio programma nucleare. Secondo esperti americani, i test effettuati non sono in realtà sufficienti per la verifica della realizzazione di armi sicure, affidabili e delle ridotte dimensioni necessarie per il loro impiego con missili balistici di gittata intermedia o intercontinentale. Alla decisione di chiudere tale sito può aver pesantemente contribuito la preoccupazione per il rischio di contaminazione radioattiva degli abitanti della limitrofa provincia cinese Jilin, distante solo 60 km da Punggye-ri.
Comunque la moratoria dei test, fino alla possibile creazione di un nuovo sito, costituisce un effettivo e significativo rallentamento nella militarizzazione operativa dell’armamento atomico nord-coreano.
L’arsenale missilistico
Come vettore per le proprie armi nucleari la DPRK ha scelto unicamente piattaforme missilistiche, anche se sviluppare testate per missili balistici è molto più difficile che produrre bombe a gravità per aerei, a causa delle estreme condizioni che le testate devono sopportare in fase di lancio e nel rientro nell’atmosfera.
La Corea del Nord possiede un variegato spettro di ogni categoria di missili balistici, dai Toksa (KN-02) con gittata inferiore ai 120 km fino a missili balistici intercontinentali (ICBM) con portata fino a 13.000 km, ma è convincimento degli osservatori che missioni nucleari siano riservate ai soli missili con gittata superiore ai 1.000 km (tabella 2). Non sono previste testate nucleari per il centinaio di Toksa e i vari tipi di Scud (una forza stimata in 400 esemplari), con gittate fra 300 e 1.000 km.
Il missile a media gittata (>1.200 km) per cui probabilmente sono state testate le prime armi nucleari è lo Hwasong-7 (Nodong), operativo dal 1993: è a uno stadio e usa combustibile liquido, per un carico utile di circa 1 t; viene trasportato su strada da un veicolo a 5 assi, che provvede anche alla sua erezione e lancio (TEL); si stima che la DPRK abbia un centinaio di TEL per una flotta di circa 250 Nodong.
Uno sviluppo tecnologico importante è costituito dal Bukkeukseong-2, una modificazione del missile omonimo lanciabile da un sottomarino, che usa combustibile solido; i missili con tale combustibile richiedono meno supporto logistico di quelli a combustibile liquido e meno tempo di preparazione prima del lancio.
Fra i missili a gittata intermedia, è già operativo e impiegabile in missioni nucleari lo Hwasong-10 (Musudang), con una gittata superiore a 3.000 km (in grado quindi di raggiungere il Giappone, Taiwan, Cina e Russia); si ritiene che una cinquantina di TEL dedicati a sei assi siano schierati, per meno di 200 esemplari di Musudang.
Intenso è l’impegno nord-coreano per lo sviluppo di missili intercontinentali, che possano raggiungere l’Europa, l’Asia meridionale e gli USA. Il Taepo Dong-2 è l’unico già operativo: si tratta di un missile a tre stadi con base fissa ritenuto la versione militarizzata del vettore Unha-3 per la messa in orbita di satelliti; potrebbe raggiungere una gittata di 12.000 km con un carico utile di oltre 800 kg. Sono stati provati almeno altri cinque tipi di missili intercontinentali, con test di volo di vario successo, tutti lanciabili da TEL, uno con combustibile solido. Dai test effettuati non si può desumere se i nord-coreani abbiano raggiunto dei sistemi adeguati di guida e controllo del volo stabili su distanze intercontinentali.
La tecnologia che ancora sembra mancare alla DPRK per la realizzazione di un effettivo missile balistico a missione nucleare è la produzione di un’ogiva in grado di sopravvivere agli stress meccanici e termici della fase di rientro nell’atmosfera preservando l’operatività della testata nucleare.