“Spring Flamingo” è stato il primo a usare “piedi” e “caviglie”. “Uniroo” è invece un monopiede dai movimenti saltellanti che ricordano quelli del canguro. “M2” è un bipede che ha fatto i suoi primi passi nel 2000, mentre “Troody”, attualmente in sperimentazione, è un bipede il cui aspetto è ispirato ai dinosauri. Sono solo alcuni dei robot costruiti al Leg Laboratory, il laboratorio del Massachusetts Institute of Technology dove dall’inizio degli anni Ottanta si studiano i vari modi di camminare e di spostarsi degli organismi viventi per poi riprodurli nelle macchine. Oltre alla costruzione vera e propria del robot, i ricercatori di questo settore devono anche affrontare il problema dello sviluppo del software di controllo che fa camminare il robot. Il problema è che questi algoritmi sono decisamente complessi. Ma ora al Leg Laboratory hanno introdotto il Virtual Model Control (Vmc), un sistema che permette di semplificare notevolmente questi programmi.
Il vantaggio del Vmc sta nel poter usufruire dell’aiuto di strumenti sofisticati senza di fatto doverli fisicamente costruire. Gambe aggiuntive o carrelli vengono sostituiti dai loro modelli virtuali. Il robot “pensa” di averli a disposizione in quanto sono inseriti nel programma che lo fa camminare. L’uso della realtà virtuale in questo campo non è nuovo. Già una ventina di anni fa Marc Raibert, fondatore del Leg Laboratory, introdusse due gambe virtuali come parte della strategia per far camminare robot quadrupedi. La novità sta piuttosto nell’uso assai più generalizzato e massiccio di questa tecnica. E nell’utilizzo dei modelli virtuali di componenti e protesi provenienti dalla tecnologia medica.
Facciamo un esempio. Un robot bipede planare è una macchina che cammina su un piano. Quando si sposta deve controllare la sua altezza (che varia a ogni passo), il picco di tale altezza, la sua velocità. Deve inoltre coordinare l’alternarsi del movimento delle gambe, la loro distanza, il mutuo distribuirsi del peso del corpo. Insomma, una serie assai complessa di parametri. Grazie al Vmc l’altezza e il suo picco vengono controllate da una versione virtuale di un “wheeled walker”, una sorta di carrello usato dagli anziani e da persone che hanno difficoltà a camminare. Chi usa tale strumento si china in avanti appoggiandosi su di esso a ogni passo. Allo stesso modo il robot del Leg Lab si china in avanti sul suo walker virtuale, mentre di fatto è la tensione nelle gambe a tenerlo in equilibrio. Per coordinare il movimento alternato degli arti viene usata la versione virtuale di un altro strumento medico che induce una gamba a comportarsi come fosse lo specchio dell’altra. Si tratta di un “reciprocating gate orthosis”, un apparecchio usato da pazienti che hanno subito lesioni alla spina dorsale e che hanno perso parziale controllo delle gambe.
Se fin qui sembra che siano i robot a trarre vantaggio dalla medicina, in realtà lo scambio è reciproco. Uno dei principali obiettivi del Leg Laboratory è infatti di trasferire le conoscenze ottenute attraverso la ricerca sui robot alla progettazione di nuovi strumenti nella tecnicologia medica. Si pensa in particolare alla riabilitazione fisica, e alla sperimentazione di una protesi “intelligente” per il ginocchio e di una “knee orthosis” per pazienti con problemi neuro-muscolari.
L’obiettivo attuale dei ricercatori del Mit è riprodurre una camminata “instabile”, con bruschi cambiamenti nella direzione e nelle velocità. In questo settore i ricercatori della Honda hanno ottenuto notevoli progressi registrando vari tipi di camminate umane e facendole riprodurre (passivamente) ai loro robot. Ma come spiega Gill Pratt in un articolo apparso lo scorso Settembre su Robotics and Automatation Magazine, l’obiettivo del Leg Lab è ancora più ambizioso: creare un metodo più flessibile e simile al progresso biologico, in cui il robot non copia, ma piuttosto “apprende” vari tipi di camminata. Non più passivi imitatori, dunque, ma robot in grado di scegliere la camminata più adatta in base al percorso, comporre camminate di diverso tipo a seconda delle esigenze e imparare dai propri errori.