l loro nome in codice è gamma ray burst, meno noti con l’equivalente italiano lampi di raggi gamma. Un fenomeno già di per sé da record, dato che si tratta delle esplosioni più potenti mai osservate nell’Universo. E oggi si registra un record nel record: un’équipe internazionale di scienziati, tra cui i ricercatori della Collaborazione Magic e quelli di diversi istituti italiani, tra cui l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), hanno infatti appena osservato due gamma ray burst potentissimi, contenenti fotoni ad altissima energia, la più alta mai rilevata. I responsabili della scoperta ne danno conto in tre articoli appena pubblicati sulla rivista Nature (questo, questo e questo). Cerchiamo di capire di cosa si tratta, e perché è così importante.
Gamma ray burst: cosa sono
Per dare un’idea dell’incredibile energia di queste esplosioni, cominciamo con una comparazione semplice semplice. “Le esplosioni note come lampi gamma”, spiega Bing Zhang nell’articolo di News & Views a commento dei tre paper appena pubblicati, “possono rilasciare in un secondo la quantità di energia che il Sole produce in tutto il suo ciclo di vita”. E ancora, se non bastasse: “I lampi gamma”, gli fa eco David Berge, capo del reparto gamma ray burst all’esperimento Desy, anch’esso coinvolto nell’ultima osservazione, “sono così potenti da illuminare praticamente l’intero Universo visibile”. In generale, i gamma ray burst si presentano come lampi luminosi seguiti dal cosiddetto afterglow, un alone che contiene fotoni di diversa lunghezza d’onda, da quella delle onde radio ai raggi gamma (per l’appunto) di oltre centinaia di gigalettronvolt.
Si tratta di fenomeni piuttosto frequenti – ne avviene più o meno uno ogni giorno – e distribuiti isotropicamente nello spazio, ossia che hanno origine in posti apparentemente casuali e del tutto imprevedibili, ma sempre in galassie esterne alla nostra Via Lattea e solitamente molto lontane: il lampo gamma più distante mai osservato, per esempio, è avvenuto a una distanza di oltre 13 miliardi di anni luce dal nostro pianeta. Una distanza comparabile con l’età del nostro Universo, che si stima sia nato, per l’appunto, quasi 14 miliardi di anni fa.
Una scoperta casuale
Curiosamente, la scoperta dei lampi gamma avvenne quasi per caso. O, più precisamente, in seguito a operazioni non propriamente scientifiche: a individuarli nella prima volta, nel 1967, furono i Vela, satelliti statunitensi messi in orbita per scoprire eventuali lampi gamma prodotti a Terra da armi nucleari sovietiche. La scoperta fu tenuta nascosta fino al 1973, anno in cui, appurato che non si trattava di dati di interesse militare, fu pubblicato un articolo in cui si parlava per la prima volta in modo esplicito di “gamma ray burst di origine cosmica, le cui caratteristiche fanno escludere che le sorgenti possano essere il Sole o la Terra”. Da quel momento, gli astronomi hanno continuato a studiarli incessantemente: sono stati sviluppati telescopi specializzati in grado di osservarli indirettamente analizzando la cosiddetta luce Cherenkov, una radiazione blu indotta dai lampi gamma nell’atmosfera.
Purtroppo, questi strumenti sono sensibili solo a lampi gamma con energie molto alte. Altre osservazioni sono state possibili grazie ai satelliti in orbita, che però dal canto loro hanno rivelatori troppo piccoli per essere sensibili alla bassa luminosità dei lampi gamma di alte energie. È per questo motivo che finora non si sapeva se queste esplosioni emettessero raggi gamma anche nel regime delle alte energie.
Da dove vengono, e perché?
Al momento, non c’è assoluta certezza su quali siano i meccanismi dietro queste brevi e potenti esplosioni: una delle ipotesi più accreditate postula che possano originarsi dallo scontro di stelle di neutroni o da stelle giganti che, una volta esaurito il carburante, brillano sotto forma di supernovae e infine collassano diventando buchi neri. Le supernovae maggiormente indiziate sono le cosiddette collapsar, quelle il cui nucleo misura circa 3 masse solari: in questo caso la materia della stella che non partecipa alla formazione del buco nero inizia a ruotargli attorno fino a formare il cosiddetto disco di accrescimento, un ammasso densissimo di materia. Quando tale materiale cade nel buco nero si formano due potentissimi getti nelle direzioni dell’asse di rotazione, le cui onde d’urto sarebbero, per l’appunto, i lampi gamma.
La scoperta: lampi gamma ultra-energetici
Tra l’estate del 2018 e il gennaio 2019 due team internazionali di astronomi sono riusciti a rilevare raggi gamma provenienti da due distinti gamma ray burst: il primo evento risale al 20 luglio 2018, quando il telescopio Hess (High-Energy Stereoscopic System), situato in Namibia, ha osservato l’afterglow del gamma ray burst 19072B. Il 14 gennaio 2019 la seconda rilevazione: il telescopio Magic (Major Atmospheric Gamma Imaging Cherenkov), a La Palma, ha rilevato le emissioni relative a un altro gamma ray burst, il 190114C. A guidare entrambe le osservazioni sono stati dei satelliti della Nasa posti in orbita appositamente per ascoltare raggi gamma provenienti dallo spazio, e programmati per inviare segnali di alert a tutti gli altri telescopi a terra. “Siamo stati velocissimi”, spiega Cosimo Nigro, della collaborazione Magic, “e siamo riusciti a osservare l’evento appena 57 secondi dopo il rilevamento iniziale. Nei primi 20 minuti di osservazione abbiamo rilevato migliaia di fotoni da Grb 190114C”. Ed è stato subito chiaro che si trattava di un evento particolarmente interessante: i raggi gamma avevano energie comprese tra i 200 e i mille miliardi di elettronvolt, ovvero, come spiega Elisa Bernardini di Magic, “di gran lunga i fotoni a più alta energia mai osservati da un gamma ray burst”. Si pensi, per confronto, che i fotoni della luce visibile sono in un range di energia compreso tra 1 e 3 elettronvolt.
Una scoperta del genere, chiaramente, ha mobilitato all’istante tutta la comunità degli astrofisici che lavorano nel campo. Con il risultato che oltre 20 telescopi diversi hanno scandagliato in dettaglio le sorgenti: GRB190114C è stato emesso a più o meno quattro miliardi di anni luce di distanza dalla Terra, e GRB180720B arriva da ancora più lontano, circa sei miliardi di anni luce. L’osservazione e lo studio di eventi così straordinari permetterà, dicono gli scienziati, di capire meglio le dinamiche dietro queste immani esplosioni: “Ora che abbiamo acclarato che i lampi gamma producono fotoni di energie centinaia di miliardi di volte maggiore rispetto alla luce visibili, sappiamo che sono in grado di accelerare in modo efficiente le particelle emesse durante il collasso nei buchi neri”, spiega Konstancja Satalecka, un’altra dei (tantissimi) autori dei lavori. “Per la prima volta, due strumenti hanno misurato direttamente al suolo la radiazione gamma prodotta dai gamma ray burst. La scoperta ha il potenziale per far avanzare significativamente la nostra comprensione di questi fenomeni”. Restiamo sintonizzati.
Via: Wired.it
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Credits immagine di copertina: MPIK/Christian Föhr