Geotermia, la stimolazione idraulica può causare terremoti

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Pohang, Corea del Sud, 15 novembre 2017. Due forti scosse di terremoto (di magnitudo rispettivamente 5,5 e 5,4) scuotono la terra per oltre 30 secondi, provocando 90 feriti e danni per oltre 50 milioni di dollari. L’evento è inusuale – la regione non è a rischio sismico – e ad incuriosire ulteriormente i geofisici è il fatto che l’epicentro del terremoto è vicinissimo a un impianto pilota di geotermia profonda (un cosiddetto Enhanced Geothermal System, o Egs), che si serve della tecnica della stimolazione idraulica per “spaccare” la roccia nel sottosuolo e provocare così la risalita del vapore, poi utilizzato per la produzione di energia elettrica. Si tratta di un approccio molto simile a quello del famigerato fracking, o fratturazione idraulica, una tecnica con cui si estraggono gas naturali e petrolio dal suolo e che sarebbe, secondo ormai una gran mole di dati, collegata a un aumento della sismicità. Oggi questo nesso di casualità sembra certo anche per la stimolazione idraulica: a distanza di quasi due anni, uno studio pubblicato su Science afferma che in effetti il terremoto di Pohang fu conseguenza dell’attività dell’impianto geotermico. “Non è una frase che si dice spesso nella scienza”, ha commentato William Elmsworth, geofisico di Stanford e coautore dello studio, “ma in questo caso le prove sono schiaccianti. Non c’è alcun dubbio che il terremoto sia stato innescato dalle iniezioni sotterranee”.

La stimolazione idraulica per la geotermia profonda

La tecnica della stimolazione idraulica è utilizzata per la produzione di energia elettrica e prevede che si inietti acqua ad alta pressione nel sottosuolo per sfruttare le cosiddette “rocce calde secche”, ossia materiale molto caldo (fino a 300 °C). Il getto d’acqua spacca la roccia creando un sistema di fratture in cui il fluido circola trasformandosi in vapore ad alta pressione, poi utilizzato per la produzione di elettricità.

Parente stretto della stimolazione idraulica, come accennavamo, è il fracking, una tecnica che consente di estrarre gas naturali e petrolio dal suolo utilizzando getti di liquidi ad alta pressione. Per i produttori è particolarmente conveniente, perché permette di evitare la costruzione dei più costosi impianti di estrazione tradizionali, ma negli ultimi anni molti hanno sollevato dubbi sui rischi ambientali legati a queste procedure. L’acqua prodotta nel processo di fratturazione si disperde infatti nel terreno, e negli Stati Uniti, dove il fracking è particolarmente diffuso, sono state moltissime le segnalazioni di danni collaterali provocati da questi liquidi di scarto, come l’avvelenamento delle falde acquifere o, per l’appunto, i terremoti.

Il sisma di Pohang e la geotermia profonda

Nell’immediatezza del sisma, come raccontavamo, diversi gruppi di scienziati indipendenti si erano interessati al fenomeno. In particolare due studi, condotti rispettivamente da un team internazionale di ricercatori dell’Eth di Zurigo, del Gfz di Potsdam e dell’Università di Glasgow, e da un gruppo di studiosi delle Università di Pusan e Seoul, erano giunti a conclusioni simili. Incrociando i dati satellitari e quelli dei sismografi appariva chiaro che la faglia attivata dalla sequenza sismica passasse esattamente sulla verticale dei pozzi dell’impianto di geotermia profonda. Un’indicazione che, in aggiunta all’assenza di sismicità storica nell’area prima della costruzione dell’impianto, rendeva “plausibile” una connessione tra il terremoto di magnitudo 5,5 e le attività da stimolazione idraulica condotte per lo sfruttamento dell’energia geotermica a ridosso della zona epicentrale.

La conferma

Veniamo all’ultimo studio, di cui è coautore anche l’italiano Domenico Giardini, geologo dello Energy Science Center all’Eth di Zurigo. Il lavoro ha sostanzialmente corroborato l’ipotesi già formulata dagli studi precedenti: “Il terremoto di Pohang”, si legge nello studio, “fornisce una prova inequivocabile del fatto che la stimolazione Egs utilizzata nella geotermia profonda può innescare grandi terremoti che interessano un’area maggiore del volume di roccia stimolato, e smentisce l’ipotesi che la massima magnitudo del terremoto sia determinata dal volume di fluidi iniettati. Dal momento che questa ipotesi si basa tacitamente sui metodi di stima del rischio usati per gestire la sismicità indotta, pensiamo si renda assolutamente necessaria una revisione di tali metodi basata su nuove considerazioni del rischio”.

Riferimenti: Science doi: 10.1126/science.aax1878

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