Giustizia anno zero

Il sovraffollamento delle carceri non è più un’emergenza. Dopo 15 anni il numero dei detenuti (38.700) rientra nella capienza regolamentare fissata dal Ministero della Sanità (42.959). E a trarre vantaggio dall’indulto non sono stati solo i 24.135 beneficiari diretti del provvedimento. Rispetto ai reclusi di qualche mese fa infatti, chi resta in carcere o vi entra adesso ha qualche speranza in più di vedere rispettati i propri diritti. L’alta densità della popolazione carceraria, considerata per anni responsabile dei principali problemi degli istituti di detenzione (cattiva assistenza sanitaria, condizioni igieniche pessime, impossibilità di avviare progetti di formazione, istruzione e lavoro), ha smesso di fare da scusante.

A Rebibbia, nel nuovo complesso, si è passati da 1600 a 870 detenuti, a San Vittore si è scesi da 1500 a 1100, il Pagliarelli di Palermo ha dimezzato le 1600 unità presenti prima dell’indulto. E ci sono carceri (Empoli, Locri e Spinazzola) popolate da solo tre persone. Come sfruttare al meglio la storica occasione e non tornare in breve tempo alla situazione di partenza? E’ effettivamente realizzabile una strategia penale che limiti il più possibile il ricorso alla galera, ma che contemporaneamente garantisca la sicurezza dei cittadini? E’ convinto di sì Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia, intervenuto al convegno “Difendere Abele e recuperare Caino” organizzato a Roma il 20 ottobre scorso: “Si apre ora un fase di straordinaria importanza per la realizzazione di un sistema sanzionatorio non esclusivamente detentivo. E’ arrivato il momento di considerare la possibilità di consentire al giudice di merito, e non più soltanto al magistrato di sorveglianza, di disporre misure alternative al carcere in sede di sentenza”.

Per arrivarci però è necessario accettare in pieno il carattere non punitivo della pena. Che è il principio da cui partire per riformare il codice penale, afferma Giuliano Pisapia presidente della Commissione parlamentare incaricata della stesura del nuovo testo: “L’obiettivo al quale dobbiamo puntare è di evitare la sanzione carceraria senza però accettare l’impunità dei reati. Per questo si possono prevedere per esempio efficaci misure interdittive, altrettanto temibili e perciò utili come deterrente. Dobbiamo riconoscere che un sistema penale che limiti il ricorso al carcere va a vantaggio prima di tutto dei cittadini onesti. Le condizioni di affollamento alle quali eravamo abituati hanno fornito un oggettivo incentivo alla recidiva e al perpetuarsi di comportamenti criminali”. La strada indicata da Pisapia potrebbe passare per l’affermazione di un diritto penale minimo che contempli la depenalizzazione di molti reati, una più ampia articolazione del ventaglio di pene e l’istituzione di strumenti giuridici come il proscioglimento per tenuità del fatto (già previsto nel processo penale minorile), i comportamenti risarcitori e l’estensione dei limiti di pena per l’accesso alle misure alternative.

Ma la nascita di una nuova giustizia penale dalle ceneri del codice Rocco potrebbe farsi attendere un bel po’. Mentre realistiche previsioni, basate sull’andamento della popolazione carceraria dopo l’indulto del 1990 che ha registrato un incremento annuale medio di 2.000 unità con picchi di 9.000, fanno temere un nuovo sovraffollamento entro tre anni. Non c’è dubbio quindi che alcuni cambiamenti vanno fatti adesso. Iniziando, dice Manconi, con l’affrontare e risolvere la persistente vergognosa presenza di 40 bambini con meno di tre anni di età nelle nostre carceri, in contrasto con quanto stabilito dalla legge Finocchiaro (L.40 dell’8 marzo 2001), per proseguire con l’istituzione, promessa sempre da Manconi, di una commissione sulla mancata applicazione del regolamento penitenziario (decreto 230 del 30 giugno 2000) con il compito di individuare e superare gli ostacoli che hanno impedito in questi anni la realizzazione di alcune basilari riforme strutturali. E suggellare le migliori intenzioni nominando un nuovo vertice del Dap (Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria) realmente capace di imporre il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione sul fine rieducativo della pena.

Procede intanto l’iter parlamentare della proposta di legge per l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Si tratta di un organismo già presente in molti paesi europei composto da un presidente, nominato dai presidenti della Repubblica, Camera e Senato in carica per quattro anni e da quattro membri eletti a maggioranza assoluta dalle due Camere. “Il ruolo del Garante è quello di tutelare il rispetto dei diritti di tutte le persone in condizioni di privata libertà, quindi nei carceri, centri di permanenza temporanea, commissariati di polizia, comunità di recupero” spiega l’onorevole Graziella Mascia di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea relatrice della proposta di legge. “Con piena libertà di accesso agli istituti e agli atti il Garante dovrebbe intervenire nella risoluzione dei problemi emersi facendo leva principalmente sui direttori responsabili delle strutture e evitando, se possibile, il rinvio a sedi giudiziarie. Come per le altre analoghe figure, chiunque può rivolgersi a questo organismo che ha l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria i reati di cui potrebbe venire a conoscenza”. Legato alle sorti della riforma del Codice penale, invece, è invece l’altrettanto atteso disegno di legge sull’abolizione dell’ergastolo, una sanzione incompatibile, secondo i firmatari della proposta, con il carattere rieducativo della pena stabilito dalla Costituzione.

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