HomeAmbienteGli occhi dei satelliti per scovare la plastica dispersa nei mari

Gli occhi dei satelliti per scovare la plastica dispersa nei mari

Spesso si dice che guardare un problema da lontano aiuti a vedere soluzioni a cui mai avremmo pensato. Niente di più vero secondo la ricerca condotta da Lauren Biermann del Plymouth Marine Laboratory e pubblicata su Scientific Reports. Biermann e colleghi, infatti, hanno sviluppato un nuovo metodo per scovare la plastica in mare attraverso l’uso di dati provenienti dallo Spazio. Analizzando quelli forniti da Sentinel-2 dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), i ricercatori sono stati capaci di distinguere la plastica da altri materiali con un’accuratezza dell’86%. Al punto che la stessa Biermann spera che il metodo da loro messo a punto possa diventare “un punto di partenza per l’uso di satelliti e droni per contrastare il problema della plastica in mare alla fine del ciclo di vita del prodotto”.

La “firma” della plastica

La presenza di macro e microplastiche in mare, e più in generale nell’ambiente, è un problema globale che rischia di portare a gravi conseguenze se non affrontato adeguatamente. Affrontarlo significa non solo investire in azioni mirate alla riduzione del consumo di plastica, ma anche nella bonifica di quella già dispersa nell’ambiente. E per bonificare bisogna prima di tutto conoscere dove si trova la plastica. Non a caso già in passato sono state tante le iniziative per segnalare la presenza di rifiuti di plastica in mare. L’ipotesi degli autori è che la plastica galleggiante possa essere identificata anche se mischiata con altri materiali naturali quali alghe, legname, schiuma e acqua di mare. Come? Grazie a una “firma” inconfondibile, ovvero alle lunghezze d’onda della luce visibile e infrarossa assorbite e riflesse dalla plastica.

Queste firme spettrali, che consentono di identificare ogni materiale in modo univoco, sono state ottenute per mezzo di dati satellitari, osservando i rifiuti plastici presenti nel porto di Durban in Sud Africa e nei pressi di Mitilene in Grecia. In maniera analoga, e prendendo a modello ora le alghe di una località, ora il legno galleggiante in un altro sito, i ricercatori hanno creato una libreria di firme spettrali, per i diversi materiali che possono trovarsi in mare mescolati alla plastica.

Plastica in mare

Biermann e colleghi hanno poi sviluppato un algoritmo per identificare gli agglomerati di rifiuti marini e riconoscere la plastica a seconda della quantità di materiale presente nei pixel delle immagini raccolte dallo Spazio. Una volta messo a punto il modello, i ricercatori hanno testato il loro sistema nelle zone costiere nei pressi di Accra (Ghana), di Da Nang (Vietnam), delle Isole di San Juan (Canada) e del sud-est della Scozia. Analizzando i dati satellitari provenienti da tutte e quattro le aree, i ricercatori hanno potuto distinguere la plastica dagli altri materiali galleggianti con un’accuratezza media del’86%. Nell’11% dei casi, invece, la plastica è stata confusa con la schiuma marina, mentre nel restante 3% con l’acqua stessa del mare.

(Credits: Plymouth Marine Laboratory)

L’unico caso di classificazione completamente accurata è stato registrato al largo delle Isole di San Juan nel Canada nord-occidentale. Biermann e colleghi ipotizzano che il margine di errore rilevato nelle altre zone sia dovuto ad immagini in cui il materiale plastico non è abbastanza riconoscibile. Ciò nonostante, il modello non ha mai confuso la plastica con alghe e legname.

Milioni di tonnellate di plastica in mare

Ogni anno sono milioni le tonnellate di micro e macroplastiche scaricate in mare, con un impatto economico che i ricercatori stimano tra i 3.330 e i 33.000 euro per tonnellata l’anno. Queste plastiche hanno un destino già scritto, ovvero galleggiare o affondare, e ogni caso possono nuocere gravemente alla salute degli animali marini che la ingeriscono, magari scambiandola per cibo, o ne rimangono bloccati.

La prova che è possibile monitorare i rifiuti marini con satelliti o magari droni ad alta risoluzione – parliamo di agglomerati di plastica, non singoli rifiuti – potrebbe facilitare le operazioni di pulizia prima che i detriti affondino, si sfaldino o siano portati via dalla corrente. “Tuttavia”, conclude Biermann, “possiamo conseguire un miglioramento significativo solo se affrontiamo il problema alla fonte e riduciamo la produzione di plastica”.

Credits immagine di copertina: Dustan Woodhouse on Unsplash

RESTA IN ORBITA

Articoli recenti