Gli uccelli selvatici sono in declino. In particolare le allodole, le calandrelle, i passeri e i cardellini, che finora hanno popolato le zone agricole, stanno scomparendo a causa del degrado dell’habitat, del consumo di suolo, dell’uso di pesticidi e dell’agricoltura intensiva. Lo rivela il rapporto “Uccelli comuni in Italia. Gli andamenti di popolazione dal 2000 al 2010”, realizzato dalla Lipu-BirdLife Italia insieme alla Rete rurale nazionale e al Ministero delle Politiche agricole e forestali.
Lo studio raccoglie i dati del monitoraggio Mito2000, realizzato dal 2000 al 2010 su 99 specie di uccelli selvatici “comuni”. Il rapporto ha preso in esame diverse specie a seconda dell’appartenenza all’habitat di riferimento: a ognuno è stato abbinato un indice di biodiversità, il Farmland bird index per le specie degli ambienti agricoli, il Woodland bird index per quelle degli ambienti boschivi e l’All common species index per tutte le specie comuni residue. I tre indici sono stati calcolati per ognuna delle sei zone ornitologiche identificate: alpina, rilievi prealpini e appenninici, sistemi collinari, pianure, rilievi mediterranei, steppe mediterranee.
I risultati parlano chiaro: su 26 specie agricole prese in esame, 12 hanno fatto registrare un declino, 11 sono in aumento e tre stabili. Tra le specie a rischio ci sono la calandrella, con un -66 per cento dal 2000 al 2010, l’allodola che ha fatto segnare una diminuzione del 30 per cento nel decennio considerato, l’averla piccola (-42 per cento), la rondine (-30 per cento), i passeri (-40 per cento), il torcicollo (-56 per cento), la cutrettola (-38 per cento) e il cardellino (-34 per cento). Si tratta per lo più di uccelli presenti nella Lista Rossa come vulnerabili o in pericolo di estinzione, e le cause di questo declino, secondo la Lipu, sono da ricercarsi nella meccanizzazione e intensificazione dell’agricoltura, nell’uso di pesticidi e nel degrado dell’habitat. Lo conferma anche il risultato negativo del Farmland bird index nelle zone di pianura, dove oltre all’industrializzazione dell’agricoltura si assiste al consumo di suolo e alla cementificazione, mentre va un po’ meglio nelle zone collinari.
Ma se alcune specie agricole diminuiscono, altre sono in aumento, come la gazza, la cornacchia grigia, il gheppio, l’ortolano, il rigogolo, l’usignolo, l’upupa, la tortora selvatica, il luì bianco e lo strillozzo. Buone notizie anche per quanto riguarda le specie boschive del Woodland Bird Index: il declino è meno preoccupante e interessa il regolo, la cincia mora e il ciuffolotto, mentre aumentano il picchio rosso maggiore, il fiorrancino, lo scricciolo, il rampichino comune, il pettirosso e la cinciarella.
L’avifauna, però, sembra non passarsela bene neanche oltreoceano, sempre per effetto delle attività umana. Secondo uno studio della University of Southern California, apparso su Plos One, quasi sette milioni di uccelli vengono uccisi ogni anno durante le migrazioni verso centro e sud America. Sul banco degli imputati le torri per le telecomunicazioni di Usa e Canada, alte anche centinaia di metri: i volatili, attratti dalle luci rosse fisse delle torri soprattutto quando c’è maltempo, scendono a quote più basse e finiscono per perdere i punti di riferimento e sbattere contro i cavi e i tiranti degli impianti. Basterebbero delle semplici misure, dicono gli autori, per salvare dalla morte milioni di uccelli, per esempio ridurre il numero di grandi torri, eliminare i cavi e sostituire le luci rosse fisse con lampeggianti o luci stroboscopiche.
Nell’immagine un’allodola. Credit a Luigi Sebastiani www.birds.it