Gli uomini dei fiumi ghiacciati

Nomadi, guerrieri. Le braccia tatuate, il corpo protetto dal freddo con pelli d’animale. E i lunghi coltelli ricurvi stretti in pugno. 2.500 anni fa, a cavallo di destrieri bardati con maschere di feltro, cuoio, oro e corna di cervo, gli Sciti attraversarono la steppa siberiana e, scendendo lungo il corso dei fiumi ghiacciati, invasero l’Europa.

Dietro il vetro di una teca, fra pugnali e amuleti, risplende lo scheletro di un piede umano ornato con denti di zibellino. Apparteneva allo sciamano, “l’uomo in estasi” che vestito da donna intermediava col mondo degli spiriti e con voce effemminata elargiva consigli re e capi tribù. Così inizia Siberia – Gli uomini dei fiumi ghiacciati, una mostra suggestiva e coinvolgente, di grande impatto scenografico. Attraverso 350 reperti perfettamente conservati, musiche che dilatano lo spazio proiettando i visitatori nelle sconfinate steppe siberiane, e una guida d’eccezione, lo storico greco Erodoto, la mostra racconta l’avventura degli Sciti. Un popolo fiero e misterioso le cui tracce, preservate dal ghiaccio per oltre due millenni, sono giunte inalterate fino a noi.

Tutti i reperti, rinvenuti lungo il corso dei fiumi che attraversano gli altopiani della Siberia centro-meridionale, risalgono a un periodo databile fra il VII e il IV secolo avanti Cristo. Molto più tardi, nel 1715, lo zar Pietro il Grande ricevette in dono da un ricco mercante di ritorno dagli Urali alcuni monili d’oro. Collezionista insaziabile, lo zar ordinò al governatore della Siberia di mandargliene altri. Nacque così la collezione siberiana, oggi custodita nei caveau del Museo statale dell’Ermitage a San Pietroburgo e per la prima volta visibile in Italia nella grande mostra di Trieste.

Anche in questo caso, come spesso accade, è la morte a raccontarci la vita. Un kurgan, la tomba di un re sepolto fra i suoi oggetti più cari nell’altopiano degli Altaj, ha restituito le tracce più importanti di quel mondo perduto. “Alla morte di un re”, scrive lo storico greco Erodoto nel IV libro delle Storie, “dopo 40 giorni di lutto, i partecipanti strangolavano una delle sue concubine, il suo coppiere, il suo cuoco, il suo lacchè, e uccidevano i suoi cavalli migliori, deponendo i corpi accanto a lui”. Accanto al corpo mummificato del re-guerriero, sono state trovati numerosi oggetti di vita quotidiana e monili bellissimi. Perché gli Sciti non furono solo i crudeli guerrieri che decoravano con cuoio e oro la testa mozzata ai nemici per usarla come calice durante le feste. Furono anche abili artigiani e artisti raffinati.

Gli Sciti prediligevano soggetti tratti dal mondo animale e diedero vita a un fenomeno artistico originalissimo, noto come “stile animalistico”. Ed ecco allora lupi, serpenti e caproni, cervi, aquile e tigri. Ma anche grifoni e animali fantastici. Scolpiti nella pietra, levigati nell’osso, intagliati nel cuoio, fusi nel bronzo, modellati nell’oro. Animali mitologici, intrisi di arcani simbolismi, in perenne lotta fra loro. Una sublime sintesi di azione, forza e magia. Forse a rappresentare l’eterno conflitto fra il bene e il male. Forse a rappresentare lo spirito di un popolo nomade, un popolo di guerrieri e sciamani.

La mostra, promossa dal comune di Trieste e dalla Soprintendenza dei beni culturali del Friuli-Venezia Giulia, è stata realizzata in collaborazione con il Museo statale dell’Ermitage di San Pietroburgo. Può essere visitata dal 4 marzo al 29 luglio a Trieste, alle Scuderie del castello di Miramare.

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