Tra circa 80 anni le aree marine protette (AMP), ovvero quelle porzioni di mari e oceani dedicate alla protezione e al mantenimento della biodiversità saranno in pericolo, incapaci di tollerare l’aumento di temperatura e la riduzione di ossigeno generati dal riscaldamento globale. Questo è quanto emerge da un nuovo studio guidato da John F. Bruno, biologo della University of North Carolina at Chapel Hill, negli Stati Uniti, e pubblicato su Nature Climate Change.
I ricercatori hanno preso in esame 8236 aree marine protette diffuse su tutto il pianeta, che rappresentano il 4% della superficie totale degli oceani. Se le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare, senza interventi radicali che ne limitino la produzione, si raggiungerà un aumento di temperatura degli oceani di 2.8°C entro il 2100, scrivono i ricercatori su Nature. Ma le conseguenze del global warming non saranno distribuite equamente su tutto il globo, perché i tassi di riscaldamento aumenteranno con la latitudine: si passerà da una media annua di 0,031°C di incremento delle zone tropicali ai 0,051°C nelle zone polari. Cosa comporterà questo aumento? Spiegano i ricercatori che alle medie e alte latitudini, inclusa dunque l’area mediterranea, negli ecosistemi marini si verificheranno dei cambiamenti nella rete alimentare, con l’invasione di nuovi predatori e parassiti. Nelle zone tropicali invece vi sarà perdita di biodiversità. La speranza è che alcune specie “preservate” all’interno delle AMP possano trovare modalità di adattamento alle nuove condizioni, ma bisogna considerare che negli ultimi 65 milioni di anni l’incremento delle temperature globali non è mai stato così rapido.
I ricercatori hanno anche calcolato qual è l’“anno di emergenza” per alcune delle AMP studiate, ovvero il momento in cui alcuni parametri naturali, quali temperatura e concentrazione di ossigeno, supereranno definitivamente la loro naturale variabilità. Questo si verificherà per il 42% delle AMP intorno al 2050.
Integrando poi questo dato con la sensibilità termica delle specie costituenti l’ecosistema marino, gli studiosi hanno verificato che il superamento della soglia di tolleranza si verificherà nelle zone tropicali intorno al 2050, mentre nelle latitudini più alte intorno al 2150. Superata questa soglia si avranno perdite importanti nel numero di specie, anche tra quelle con un buon grado di adattamento.
In tutto questo, ricordano i ricercatori, non dobbiamo dimenticare che “la biodiversità marina è stata già sufficientemente degradata dalla pesca, dalla perdita di habitat e dall’inquinamento”. Creare nuove AMP può essere uno strumento importante per mitigare i rischi del riscaldamento globale; ma intervenire direttamente sulle emissioni di gas serra, applicando gli accordi di Parigi, sembra essere l’unico mezzo per preservare la biodiversità dei nostri ambienti marini.
Riferimenti: Nature Climate Change
Articolo prodotto nell’ambito del Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara