Attraverso la storia, le nuove tecnologie hanno spesso avuto un forte impatto sulle tattiche e sulle strategie militari. La polvere da sparo e la siderurgia, con lo sviluppo dell’artiglieria, hanno cambiato profondamente la logistica necessaria per sostenere le armate, creando economie di scala nelle attività militari e hanno favorito il sorgere degli stati nazionali; le ferrovie, consentendo il rapido trasporto di enormi eserciti, hanno avuto un ruolo centrale nelle guerre della seconda metà dell’Ottocento e nella prima Guerra mondiale. Nella battaglia di Sadowa, o battaglia di Königgrätz (Hradec Králové in ceco), del 3 luglio 1866, la guerra austro-prussiana si decise a favore della Prussia; fu un esempio di concentrazione sul campo di battaglia, grazie alla ferrovia, di molte unità, sorprendendo l’esercito nemico. Essa segnò l’inizio della decadenza dell’Impero austriaco. La mitragliatrice moderna, inventata da Hiram Maxim nel 1885, fu l’arma che caratterizzò la prima Guerra mondiale, provocando stragi orrende fra le fanterie delle parti avverse (le armi chimiche, impiegate nella Prima guerra mondiale, dagli italiani in Abissinia e in Libia e dai giapponesi in Cina, non furono invece impiegate nella seconda Guerra mondiale).
Aerei e carri armati ebbero un ruolo marginale nella prima Guerra mondiale, ma un ruolo centrale nelle guerre successive. E così gli aerei spinti da motori a reazione, i missili balistici (V2), le V1 e la bomba atomica, che, apparsi solo alla fine della Seconda Guerra mondiale, caratterizzarono la corsa agli armamenti durante la Guerra fredda. Allo sviluppo dei razzi si deve anche l’installazione dei satelliti artificiali per obiettivi civili e militari; anche questi ultimi hanno caratterizzato la corsa agli armamanti. Ricordiamo inoltre che, nella Seconda, fondamentale fu anche e forse soprattutto il radar.
Oggi le tecnologie militari emergenti prospettano cambiamenti rilevanti nelle future strategie belliche e nelle stesse leggi sulla guerra, da lungo tempo stabilite (e spesso violate). Oltre alla tecnologia, anche il sorgere e il diffondersi su scala globale del terrorismo sta cambiando le tecniche, la strategie e le leggi della guerra.
Un elenco incompleto include:
– i veicoli aerei a guida remota, ossia privi di guida umana (droni), già impiegati anche in azioni antiterrorismo;
– i robot autonomi letali, in progetto (robot per impieghi civili sono disponibili da molto tempo; si pensi a quelli attivi sul suolo della Luna e di Marte);
– le armi cibernetiche, come lo straordinario Stuxnet;
– le armi – “boost glide”;
– i cyborg insects;
– le potenzialità dell’ingegneria genetica per la produzione di armi biologiche con proprietà selettive;
– le tecnologie spaziali per azioni anti-satellite;
– i microcalcolatori e la rete informatica per i “campi di battaglia intelligenti”.
La possibilità di armi in grado di prendere le loro proprie decisioni anche sugli obiettivi e sul compito di uccidere esseri umani è abbastanza terrificante.
Nel caso dei droni, vanno distinti quelli di osservazione da quelli armati: i droni da osservazione sono ampiamente utilizzati anche a scopi civili; a scopo militare sono in dotazione di molti paesi. Con il crescente dispiegamento di “unmanned aerial vehicles” gli USA sanciscono il loro diritto a colpire in ogni parte del mondo, così la zona del conflitto non è più delimitata, come nelle guerre del passato; questa è anche la conseguenza della natura globale del terrorismo. Le agenzie governative già utilizzano utilizzano i droni per la sorveglianza: monitorare il lungo confine con il Messico per impedire l’immigrazione e i traffici clandestini, o per specifici controlli in alcune particolari operazioni di polizia. Altri droni, sono quelli militari, utilizzati dalla Cia e dal Pentagono nella lotta contro il terrorismo islamico. Sono quelli che hanno colpito e ucciso in Afghanistan, Pakistan, Yemen.
Anche negli stabilimenti della Selex Es di Ronchi dei Legionari vengono assemblati i droni.Recentemente un esemplare si è schiantato nella Repubblica democratica del Congo durante l’atterraggio. L’incidente è avvenuto nella capitale della provincia del Nord Kivu, base per le operazioni contro i ribelli congolesi, mentre l’aereo senza pilota tornava dalla sua missione. L’obiettivo degli aerei “senza pilota” è di raccogliere dati d’intelligence e sorvegliare le attività dei ribelli nelle giungle del Congo Orientale. Lunghi cinque metri, dipinti di bianco con le insegne del Palazzo di Vetro lungo la fusoliera, i droni hanno un raggio di azione di 250 km e autonomia di volo a media altitudine di almeno 12 ore. A bordo non ci sono armi ma sensori ad alta risoluzione che consentono di vedere attraverso la fitta vegetazione della zona e di individuare di giorno e di notte veicoli e persone anche a notevole distanza.
I primi due droni General Atomics Predator B (meglio noti come MQ-9 Reaper) consegnati all’aeronautica francese in dicembre sono schierati in Sahel per sorvegliare i movimenti dei miliziani di al-Qaeda nel Maghreb islamico e di altri movimenti insurrezionali.
Nel caso delle “armi” cibernetiche, è difficile individuare l’attaccante. Anche nel caso del “worm” tanto sofisticato da attaccare con successo i software responsabili della supervisione e dell’acquisizione di dati delle operazioni delle centrifughe iraniane per l’arricchimento dell’uranio, è difficile essere certi della sua fonte, sebbene molti fatti indichino che l’origine è negli Stati uniti e in Israele. Inoltre le armi cibernetiche sono “dual use”, cioè possono attaccare anche obiettivi civili. Per esempio, il 15 agosto 2012 i computers della Aramco sono stati infettati dal virus noto come Shamoon, e cos’ pure altre compagnie nel settore delle fonti di energia. Le armi boost-glide sono a largo raggi lanciate da grandi missili balistici; rientrano nell’atmosfera e procedono a velocità ipersoniche. Sono in via di sviluppo in Usa, Cina, Russia.
I “lethal autonomous robots” sono macchine in grado di identificare ed eliminare il loro obiettivo senza l’intervento umano. Ne sono già stati installati in Korea, nella zona smilitarizzata. In un certo senso, anche i missili Aegis installati su alcune navi americane hanno la capacità di partire in modo autonomo.
Maggiori informazioni si trovano nel sito: Unmanned systems integrated roadmap (FY 2013-2038), dove, al primo punto, si legge: Combat operations in Southwest Asia have demonstrated the military utility of unmanned systems on today’s battlefields and have resulted in the expeditious integration of unmanned technologies into the joint force structure. However, the systems and technologies currently fielded to fulfill today’s urgent operational needs must be further expanded (as described in this Roadmap) and appropriately integrated into Military Department programs of record (POR) to achieve the levels of effectiveness, efficiency, affordability, commonality, interoperability, integration, and other key parameters needed to meet future operational requirements.
A questi progetti di nuove tecnologie militari fa riscontro la recente decisione del Pentagono di tagliare le truppe di terra di 80000 unità e la previsione di spesa per il 2015 ridotta alla pur ragguardevole cifra di 496 miliardi di dollari. E gli altri stati? Non c’è da illudersi. Probabilmente anch’essi hanno piani di ammodermamento, anche se non così massicci, ma le notizie disponibili non sono così ricche come quelle fornite dagli Usa.
Sull’altro versante dello spettro, la tesi di molti pacifisti è che la guerra è comunque il male assoluto e che non può avere alcuna giustificazione su base etica: ogni tentativo di stabilirne le regole per ridurne i danni collaterali, quindi per renderla più accettabile, è solo una cosmesi, un tentativo di abbellire il mostro.
Nel 2011 a oltre 100000 militari americani sono stati prescritti antidepressivi, antipsicotici, farmaci contro l’ansietà, con un aumento di otto volte rispetto al 2005. Paralleramente è aumentato il numero dei suicidi: nel 2012 raggiunse il massimo di 350 fra i militari in servizio, più dei 300 militari morti in combattimento nello stesso anno. Nell’anno precedente circa il 47% dei suicidi era stato impiegato in Iraq o in Afghanistan e il 15% aveva avuto esperienze di combattimento.
Credits immagine: Hamed Saber/Flickr