Perline di vetro, di varie fogge e colori, tra la sabbia della spiaggia di Motoujina, in Giappone, è ciò che resta della vecchia Hiroshima. Condensati di polveri e detriti piovuti dal cielo nel fallout nucleare della prima bomba atomica della storia, sganciata il 6 agosto del 1945. Una immane esplosione che spazzò via il 90% della la cittàdina giapponese, uccidendo settantamila persone. Erano lì ignorati da settant’anni, ma non sono sfuggiti agli occhi esperti di un geologo che si trovava su quella spiaggia per tutt’altri motivi. E al quale è balzata agli occhi la somiglianza di quegli strani granelli sferici e vetrosi con i residui di eventi catastrofici come l’esplosione di un vulcano o l’impatto di un asteroide. Un’intuizione poi confermata dalle analisi e da un approfondito studio ora pubblicato sulla rivista Anthropocene.
L’atomica su Hiroshima
Il 6 agosto del 1945, alle 8 e 15 del mattino, “Little Boy”, affettuoso soprannome del primo ordigno nucleare sganciato dall’aeronautica militare statunitense, esplose a 580 metri di altezza sul cielo di Hiroshima. Un immenso calore e una spaventosa onda d’urto polverizzarono gran parte della città e dei suoi abitanti. Poi il fallout: polveri e detriti prodotti dall’esplosione iniziarono a cadere sulla terra, formando una coltre sull’intera area e fino a diversi chilometri dal ground zero.
L’esplosione aveva liberato un’energia pari a sedici chilotoni, creando condizione fisiche estreme: oltre alla mostruosa onda d’urto, le temperature raggiunsero 1.800 gradi Celsius. Una catastrofe simile all’esplosione di un vulcano o all’impatto di un meteorite.
I segni di una catastrofe
“Questi strani granelli, sferici e variegati, mi ricordano qualcosa”, deve aver pensato Mario Wannier, geologo in pensione ora dedito allo studio dei piccoli molluschi marini. Il vecchio ricercatore si trovava nella spiaggia di Motoujina, qualche chilometro a sud di Hiroshima, per raccogliere campioni di sabbia con l’obiettivo di monitorare la salute di diversi ecosistemi marini della zona. I curiosi granelli mescolati alla sabbia gli hanno ricordato alcuni campioni dello Yucatan, in Messico, in quello che si ritiene sia il luogo d’impatto del meteorite che avrebbe causato l’estinzione dei dinosauri. Di questa teoria (una delle due più accreditate sulla improvvisa scomparsa degli antichi rettili) si è recentemente parlato con clamore sui media per la scoperta delle prime testimonianze degli effetti immediati della catastrofe: detriti e resti fossili di piante e animali travolti dallo schianto del meteorite. Tra cui anche questo tipo di detriti, mini proiettili di vetro conficcati in profondità nel terreno.
La vecchia Hiroshima fusa in una perlina di vetro
Per l’analisi dei campioni raccolti a Hiroshima, Wannier si è rivolto ai laboratori dell’Università di Berkley, dove erano già stati esaminati i campioni dello Yucatan.
Scientists find a mysterious assortment of particles in beach sands collected from Japan’s Motoujina Peninsula. Read about the scientific journey that revealed the most likely origin of these particles ?? https://t.co/FvZLEw7OUi @advlightsource @UCBerkeley pic.twitter.com/yvwgz1OchE
— Berkeley Lab (@BerkeleyLab) May 13, 2019
I risultati hanno confermato l’intuizione dell’esperto geologo – le sferette sono simili – ma hanno anche svelato una composizione completamente diversa, che riflette la diversità dei materiali presenti nei due siti. Alcune sferette di Hiroshima sono risultate composte interamente di ferro e acciaio, altre hanno invece tracce di silicio, cemento, alluminio, marmo. Una varietà di materiali da costruzione che lascia pochi dubbi sulla loro provenienza. Un’ulteriore analisi con il microscopio elettronico e una tecnica chiamata diffrazione a raggi x ha dimostrato che le “perline” si sono formate sotto condizioni fisiche estreme.
Anche la quantità di sferette vetrose lascia stupiti. La concentrazione nella sabbia giapponese è tra i 12,6 e i 23,3 grammi di sferette per ogni chilogrammo di sabbia. Questo significa, secondo le stime di Wannier e colleghi, che l’intera spiaggia di Motoujina potrebbe contenere fino a 3.100 tonnellate di detriti della vecchia Hiroshima.
Studiare gli effetti delle catastrofi
“E’ una ricerca molto importante per la nostra Università, che è collocata proprio sul sito dell’esplosione”, ha dichiarato Jun-Ichi Ando, professore al Dipartimento di Scienze della Terra e di Sistemi Planetari dell’Università di Hiroshima. L’idea di Wannier è collaborare con i ricercatori giapponesi per studiare in dettaglio gli effetti di questi eventi catastrofici su cose e persone. E ha già cominciato a raccogliere campioni in altri siti, il ground-zero di Hiroshima, quello di Nagasaki, che il 9 agosto del ’45 fu anch’essa colpita da una bomba nucleare, e un campione di suolo proveniente da una zona trenta chilometri a nord-ovest di Hiroshima, dove si sa per certo essere passata la nube nucleare.
Riferimenti: Anthropocene