Hiv, alle origini dell’epidemia

Nell’ex Congo belga, a Leopoldville (l’attuale Kinshasa), un africano appartenente all’etnia Bantù si sottopone a un’analisi del sangue. È il 1959 e il suo siero, insieme a quello prelevato nel ventennio successivo da altri 1212 soggetti, viene miracolosamente conservato fino ai giorni nostri. E proprio in quel sangue si scoprono oggi le tracce del virus Hiv, responsabile della sindrome da immunodeficenza acquisita (Aids). È il caso più antico, scientificamente documentato, di un essere umano colpito dall’infezione.

La ricerca, condotta da un gruppo di virologi statunitensi e britannici, è stata presentata alla quinta “Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche” di Chicago, che ha aperto i lavori martedì 3 febbraio scorso. E proprio dalla Conferenza giungono notizie veramente positive: per la prima volta le morti per Aids negli Stati Uniti sono in netto calo. Nel ‘96 sono diminuite del 21%, mentre nel primo semestre del ‘97 addirittura del 44%. Merito dei nuovi cocktail di farmaci che riescono a contrastare efficacemente lo sviluppo della malattia, di cui si conoscono sempre meglio caratteristiche e meccanismi d’azione.

Coordinata da Toufu Zhu, dell’Università di Washington, l’equipe di scienziati, tra cui anche il famoso David Ho (nominato uomo dell’anno nel 1996 dalla rivista Time per le sue ricerche sull’Aids), ha compiuto un’analisi genetica delle tracce di virus rinvenute nel sangue dell’africano. Ricostruiti quattro frammenti del patrimonio genetico del virus, è stato possibile confrontarli con i geni omologhi dell’Hiv attualmente in circolazione. È stato un vero e proprio salto all’indietro nel tempo: i ricercatori si sono imbattuti in un tipo di virus molto vicino al progenitore comune di tutte le sottospecie di Hiv che continuano a diffondere l’epidemia nel mondo intero.

Al giorno d’oggi esistono infatti ben 10 distinte sottofamiglie di Hiv, identificate dalle lettere da A a J. Il tipo B è quello che ha avuto la maggiore diffusione in Europa e negli Stati Uniti, mentre il tipo D è più comune in Africa. Il virus conservato nel siero del bantù si colloca, evolutivamente, proprio tra questi due sottogruppi. E’ quindi lecito supporre che i due tipi si siano differenziati non molto prima del 1959. L’Hiv infatti muta molto rapidamente: è stato stimato che ogni anno rinnova l’1% del suo patrimonio genetico. “Per capire come il virus si evolve è stato necessario andare il più indietro possibile nel tempo, ottenendo questo sorprendente risultato”, ha affermato David Ho. “Una sequenza di 39 anni fa rappresenta un metro di paragone per misurare l’evoluzione dell’Hiv attuale”.

Aver trovato un antenato comune ai due maggiori sottogruppi di Hiv suggerisce ai ricercatori che tutti i diversi tipi di virus potrebbero essersi evoluti da un’ unica introduzione dell’Hiv nella popolazione africana in un periodo non molto precedente al 1959. Questo significa che probabilmente l’epidemia globale ha avuto origine da un unico Hiv, piuttosto che da molti passaggi incrociati tra animali (in particolare primati) e umani, come si è spesso sospettato. O almeno, prima di assumere le caratteristiche di un’epidemia mondiale, l’Hiv ha avuto una storia “umana” di alcuni anni, e l’esplosione infettiva degli anni ‘80 non è direttamente collegata al contagio dagli animali.

Se si ripercorre a ritroso l’evoluzione dei vari tipi di Hiv noti, si vede che questi si incontrano in un punto comune, che può essere considerato l’origine dell’epidemia globale. Effettuare una ricostruzione di questo tipo significa disegnare l’”albero filogenetico” (praticamente l’albero genealogico) dell’infezione. In un tale schema, il virus isolato nel campione del 1959 si colloca molto vicino al centro, cioè in prossimità di quello che viene chiamato il Big Bang dell’epidemia. In termini di anni significa che lo scoppio dell’infezione si può ragionevolmente far risalire agli anni della Seconda guerra mondiale, o a quelli immediatamente successivi. Resta però da risolvere ancora un problema: quello del come e del perché il virus abbia iniziato la diffusione su larga scala, arrivando a colpire oltre 40 milioni di persone in tutto il mondo, dagli anni ‘80 in poi.

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