Ameno un punto all’attivo il governo Monti lo ha conseguito, di recente. Perché ha finalmente avviato un percorso, che ci si augura virtuoso, verso la definizione di un piano energetico nazionale, che per l’occasione si è scelto di chiamare Strategia Energetica Nazionale (Sen). Dopo decenni di latitanza governativa, l’ultimo piano energetico risale al 1988, con scelte di politica energetica spesso estemporanee, contraddittorie e non ben
calibrate. Il percorso ha avuto inizio nell’ottobre scorso, quando è stato messo in rete un documento di consultazione di 114 pagine sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico (1), con la possibilità di inviare commenti in vista della redazione finale della summenzionata Strategia.
Gli obiettivi governativi sono veramente accattivanti: riduzione dei costi energetici, pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale, maggiore sicurezza di approvvigionamento
e sviluppo industriale del settore energia. Perché, se raggiunti, risolverebbero i pesanti, e ormai cronici, problemi del nostro sistema energetico. Particolarmente importante è l’obiettivo della riduzione dei costi dell’energia per le imprese e per i consumatori, che allo stato attuale penalizzano pesantemente la competitività della nostra industria. Anche perché una porzione abnorme dei prezzi dell’energia elettrica e del gas è costituita oggi da elementi parafiscali, come i sussidi alle incentivazioni, introdotti per finalità politiche.
Il documento prevede in primo luogo di ridurre la nostra dipendenza dall’estero dall’84% al 67% nel 2020, con una diminuzione di circa 14 miliardi di euro/anno della fattura energetica estera (rispetto ai 62 miliardi attuali), grazie a efficienza energetica, aumento della produzione da fonti rinnovabili, minore importazione di elettricità e maggiore produzione di risorse nazionali. E dovrebbero anche portare nel 2020 a una riduzione di circa il 4% dei consumi primari rispetto al 2010.
Tutto ciò dovrebbe essere accompagnato dalla riduzione delle emissioni di gas serra, superando gli obiettivi europei, che all’Italia chiedono di ridurre del 18% le emissioni rispetto al 2005. Ma qui non dimentichiamo
che i paesi un tempo in via di sviluppo emettono oggi lietamente anidride carbonica per garantire bassi costi di produzione a quanto poi noi importiamo. Un caso limite è quello dei pannelli fotovoltaici che acquistiamo dalla Cina per ridurre le nostre emissioni, e che presumibilmente continueremo ad acquistare per arrivare nel
2020, come previsto dal documento, al 20% di incidenza delle energie rinnovabili sui consumi finali lordi (rispetto al circa 10% del 2010).
Per raggiungere questi obiettivi si prevedono cospicui investimenti: 180 miliardi di euro da oggi al 2020, sia nella green e white economy (rinnovabili ed efficienza energetica), sia nei settori tradizionali (reti elettriche
e gas, rigassificatori, stoccaggi, sviluppo degli idrocarburi). Si tratta di investimenti privati, in parte supportati da incentivi dai quali il documento prevede un ritorno economico positivo per il paese, sebbene assai probabilmente continueranno a gravare sulle bollette dei consumatori.
La strategia proposta viene articolata in sette priorità con specifiche misure di supporto già avviate o in corso di definizione. Fra queste appare particolarmente qualificante la promozione dell’efficienza energetica e alquanto interessante quella riguardante lo sviluppo della produzione nazionale di idrocarburi, quindi di gas e petrolio.
Che si basa evidentemente sui risultati delle ricerche che indicano la presenza di idrocarburi nel nostro sottosuolo (e nel sottomare). Tale sviluppo, doverosamente definito come sostenibile, dovrebbe apportare
«importanti benefìci economici e di occupazione e svolgersi nel rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale».
Fra le altre priorità viene poi menzionata «la modernizzazione del sistema di governance del settore, con l’obiettivo di rendere più efficaci e più efficienti i nostri processi decisionali». Tale scelta costituisce
una puntuale ammissione del grado di scoordinamento derivante dal guazzabuglio normativo che affligge la nostra dolorante repubblica, aggravato dalle modifiche costituzionali del 2001 per quanto riguarda
la confusione di competenze fra Stato e regioni. E infatti nel seguito del documento si legge: «Per quanto riguarda il rapporto tra Stato, Regioni e Enti locali, si ritiene importante una modifica della Costituzione,
invocata da più parti, per riportare in capo allo Stato le competenze in materia di energia per quanto riguarda le infrastrutture di rilevanza nazionale (in tal senso, il governo ha recentemente presentato una proposta di riforma costituzionale); un maggior coinvolgimento dei territori nelle scelte ex ante che riguardano gli insediamenti energetici, con l’istituto del dibattito pubblico informativo, e l’introduzione di forme di coordinamento preventivo con le Regioni, in modo da ridurre incertezze e contenzioso».
Tornando all’efficienza energetica, appare evidente che le maggiori prospettive di risparmio
non riguardino il settore industriale, che sta facendo, e ha già fatto, molto in tal senso per motivi economici,
cioè per ridurre l’incidenza del costo dell’energia sui prodotti. Ampio spazio, invece, offre il settore residenziale, dove i consumi sono altissimi, con costi specifici in termini di energia annuale al metro quadro decisamente maggiori rispetto per esempio alla Germania, per una molteplicità di motivi, fra cui la sventatezza esercitata
dei costruttori nei decenni passati nella cattiva coibentazione degli edifici e la gestione disattenta degli impianti di riscaldamento e raffrescamento, da me discussi nel libro La fisica della sobrietà. E qui gli investimenti nelle ristrutturazioni e negli impianti potrebbero risultare molto fruttuose.
Non andiamo oltre sul documento Sen, menzionando invece la posizione espressa al riguardo dall’associazione Amici della Terra (AdT), la quale contiene elementi che mi sono apparsi piuttosto sensati. In particolare, viene suggerito di rivedere il quadro delle incentivazioni, che nel documento governativo risulta alquanto sbilanciato. Perché gli incentivi previsti per il periodo 2013-2020 ammontano a 15 miliardi di euro per l’efficienza energetica apportando al 2020 un risparmio di energia di circa 70 Mtep, a 6 miliardi per le rinnovabili termiche per un risparmio di 40 Mtep, a 28 miliardi per le rinnovabili elettriche per un risparmio di 20 Mtep. Cioè il risparmio di 1 Mtep richiederebbe 150 milioni se attuato grazie alle rinnovabili termiche, 210 milioni se proveniente da miglioramenti di efficienza e 1400 milioni se ottenuto dalle rinnovabili elettriche.
Questo articolo è stato pubblicato con lo stesso titolo sul numero di febbraio 2013 di Sapere. Ecco come acquistare una copia della rivista o abbonarsi on line.
Credits immagine: phault/Flickr