Un cromosoma in più del normale. Il ventuno, per la precisione. È per questo motivo che la giornata di oggi – 21/3, per l’appunto – è stata scelta per ribadire il diritto alla felicità e alla salute delle persone affette da sindrome di Down, o, più scientificamente, trisomia del cromosoma 21. Il tema centrale della giornata, che coincide con l’inizio della primavera, è il benessere (qui i dettagli per seguire gli eventi in programma nelle piazze d’Italia; l’hashtag ufficiale è #WDSD2014). Sia delle persone affette dalla sindrome che delle loro famiglie, come vi avevamo raccontato mostrandovi il toccante video realizzato da CoorDown, il coordinamento nazionale delle associazioni con persone con trisomia 21. Per celebrare la ricorrenza, vi proponiamo un punto su cause ed effetti della sindrome e sui luoghi comuni più discussi da sfatare.
Cosa provoca la sindrome
La sindrome di Down – individuata dal medico John Langdon Down nel 1866 – è causata quasi sempre (nel 95% dei casi, per la precisione) dalla presenza di una copia di troppo del cromosoma 21 (le persone sane ne possiedono due), attribuibile a un difetto nella meiosi: i cromosomi non si separano correttamente e quindi i gameti ne presentano uno in più. Un fenomeno che, come spiegò Jerome Leujene nel 1959, provoca un’iperespressione dei geni: in altre parole, l’eccesso di geni comporta la produzione eccessiva di enzimi e proteine, con conseguente distorsione del metabolismo normale. Per esempio, l’aumentata espressione genica comporta una sovrapproduzione dell’enzima superossido dimutasi, responsabile a sua volta del controllo del perossido di idrogeno: il cattivo funzionamento di questo processo potrebbe essere la causa dell’invecchiamento precoce delle persone con sindrome di Down.Altre origini della malattia (traslocazione robertsoniana e mosaicismo), che ogni anno colpisce circa un bambino su settecento (dati relativi agli Stati Uniti), sono estremamente più rare.
Gli effetti della sindrome
Dal punto di vista fisico, le persone affette da sindrome di Down sono generalmente di bassa statura (sia da piccole che da adulte), hanno gli occhi inclinati verso l’alto, orecchie, bocca e naso piccoli, collo corto e tono muscolare inferiore alla norma. Hanno purtroppo un rischio maggiore, rispetto alla popolazione sana, di soffrire di malformazioni cardiache, malformazioni intestinali, problemi di vista e di udito, infezioni e disturbi della memoria. Dal punto di vista dell’intelletto, la trisomia 21 provoca un ritardo mentale lieve o moderato, variabile soprattutto a seconda del contesto educativo e ambientale in cui la persona cresce.
I luoghi comuni
Le persone con sindrome di Down hanno vita breve. Non è così, nonostante parecchi siano convinti del contrario. Ce lo conferma Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Aipd (Associazione Italiana Persone Down): “È un luogo comune dovuto alla mancanza di conoscenza sui progressi della medicina. La vita media delle persone con sindrome di Down in Italia e nell’Unione Europea è di 62 anni. L’80% di loro raggiunge i 55 anni e il 10% arriva a 70”. Un progresso notevole: negli anni quaranta, l’aspettativa di vita era di soli 12 anni, e negli anni ottanta di 33. Il miglioramento è dovuto ai passi avanti nella cura delle malattie respiratorie e ai progressi della cardiochirurgia, “ma anche al fatto che moltissime persone Down vivono in famiglia”, continua Contardi. “È dimostrato, infatti, che il ricovero in istituto accorcia la vita”.
Esistono diverse forme della sindrome di Down. Non è così. Come abbiamo visto, la trisomia può essere causata da tre meccanismi diversi (libera, traslocazione e mosaicismo), ma non esistono forme lievi o gravi della malattia. “Le persone Down, però”, precisa Contardi, “sono l’una diversa dall’altra. Una maggiore o minore disabilità intellettiva non dipende in senso stretto dalla trisomia 21, ma dall’effetto combinato del restante patrimonio genetico e soprattutto da educazione e ambiente di crescita”. Per esempio, un bambino Down con problemi visivi o uditivi non riconosciuti e curati potrebbe sviluppare, col tempo, un deficit cognitivo o intellettivo più grave di altri, ma l’effetto non è legato in senso stretto alla trisomia.
Le persone Down possono eseguire solo lavori meccanici o ripetitivi. “Anche in questo caso, naturalmente”, spiega Contardi, “bisogna tener conto dell’estrema variabilità tra gli individui. Ma, in generale, non è così”. L’Aipd esegue da tempo un monitoraggio costante dell’inserimento delle persone Down nel mondo del lavoro, e si è osservato che “i casi di successo non sono legati alla ripetitività delle mansioni ma all’efficienza nell’organizzazione dei compiti e alla fiducia nel lavoratore”. Un caso di successo, per esempio, è quello dell’Hotel 6 Stelle, in cui viene offerto un tirocinio formativo della durata di sei settimane a tre ragazzi e tre ragazze con sindrome di Down.
Le persone Down saranno sempre dipendenti dagli altri. Con i dovuti distinguo di cui sopra, non è così. “Lavoriamo da 25 anni per migliorare l’autonomia delle persone”, dice Contardi. “E abbiamo ottenuto ottimi risultati. Per esempio, siamo riusciti a insegnare a ragazzi con gravi disabilità intellettive, incapaci di leggere e scrivere, a prendere i mezzi pubblici, gestire il denaro, curare l’igiene personale e quella della casa, cucinare”. Quello dell’autonomia è uno degli aspetti più importanti, di cui le istituzioni devono farsi carico al più presto, perché “opportuni investimenti volti a potenziare l’indipendenza delle persone con sindrome di Down si traducono in grande risparmio economico e guadagno sociale”.
Le persone Down sono sempre felici e non costruiscono rapporti interpersonali profondi. “È ora di sfatare il mito del ragazzo Down sempre sorridente e amico di tutti”, commenta Contardi. Proprio come i normodotati, le persone Down provano tutti i tipi sentimenti, esprimono emozioni e coltivano rapporti di amicizia. Talvolta si innamorano e si fidanzano. “In ogni caso, sono persone che hanno capacità di scegliere, come tutti gli altri”, conclude Contardi. “E non sono sempre felici: quando s’incazzano, sono guai”. È il caso, per esempio, della tipa wild descritta da quei simpaticoni dei Pills. Guardare per credere.
Via: Wired.it
Credits immagine: Rich Johnson/Flickr