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I rischi dell’aborto illegale

La normativa troppo rigida sull’aborto, vigente in molti paesi in via di sviluppo, mette a rischio la salute delle donne. A denunciarlo è uno studio condotto dall’Istituto francese di Ricerca per lo Sviluppo e dal Colegio de Mexico (un istituto universitario messicano), che ha esaminato informazioni raccolte negli ultimi 15 anni nei due continenti per capire l’evoluzione della legislazione sul diritto all’aborto e le ragioni sociologiche del problema.

Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), sono quasi otto milioni le donne che si sottopongono ogni anno in Africa e in America Latina ad aborti pericolosi, vale a dire un caso ogni sette nascite in Africa e uno su tre in Sud e Centro America. Dallo studio è emerso che la pericolosità è strettamente connessa con l’illegalità, dal momento che in questi paesi la normativa è ancora troppo intransigente e inadeguata. Se la situazione è già molto problematica in America Latina e nei Caraibi, in Africa lo è ancora di più, visto che i provvedimenti normativi vigenti in molti paesi risalgono addirittura all’epoca coloniale. Il risultato è che in tutto il continente il 99 per cento degli interventi è praticato illegalmente e quindi senza garanzie per la salute delle donne. Anche se in nessuno dei 53 stati africani l’aborto è totalmente proibito, solo tre sono i paesi che lo consentono realmente (Capo Verde, Tunisia e Sud Africa).

Secondo lo studio, molto poco è stato fatto dal 1994, anno della Conferenza per i diritti delle donne del Cairo, e da allora in alcuni stati africani la situazione legislativa è divenuta addirittura più restrittiva. In America Latina e nei Caraibi, nel 2006, l’interruzione di gravidanza era proibita ancora in sei paesi (Cile, El Salvador, Honduras, Repubblica Domenicana, Nicaragua e la parte olandese di Saint Martin), mentre in altri era consentita solo per ragioni di salute della madre, come anche in alcuni stati africani.

Sono a rischio tutte le donne in età fertile, in particolare le adolescenti, a causa della disinformazione e del difficile accesso ai contraccettivi. I dati disponibili sono ancora troppo frammentari: i pochi studi condotti, la maggior parte su vittime di complicazioni, dimostrano un crescente ricorso agli interventi nelle aree urbane. Secondo l’Oms una migliore conoscenza potrà aiutare a definire una normativa e delle linee guida più opportune che possano nel tempo migliorare le condizioni di vita per milioni di donne. (s.m.)

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