All’inizio le persone sono completamente rigide e passive. Il fisioterapista deve prima di tutto mobilizzare il gomito, senza forzare, ma cercando lentamente di vincere la resistenza che il braccio oppone al suo naturale movimento. Siamo a una seduta di riabilitazione post-ictus, e lo specialista sta rimettendo in funzione le articolazioni di un paziente grazie a un preciso programma di esercizi. Solo che lo specialista è un robot. O, meglio, sarà un robot. Via dalla mente l’immagine di un androide con il camice – decisamente troppo futuristica. Pensiamo piuttosto a una specie di armatura in lega di alluminio e fibra di carbonio, in grado di far esercitare l’arto e di capire se e quanto la persona che la indossa sta partecipando al movimento. Un robot indossabile, insomma, che ha anche un nome: Neuroexos. Per ora questo sistema si trova nei laboratori dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ma nei prossimi mesi dovrebbe uscirne per essere impiegato in una vera sperimentazione clinica su pazienti con gravi lesioni cerebrali e disabilità motorie. Lo scopo è ridurre la spasticità del gomito nelle persone costrette all’immobilità, ed evitare così il deterioramento delle articolazioni.
A portarla avanti sarà Federico Posteraro, primario di Riabilitazione Neurologica presso il Centro di riabilitazione Auxilium Vitae di Volterra. Il protocollo sperimentale dovrebbe essere pronto per la fine del 2012. I possibili vantaggi? Avere a disposizione una macchina del genere significa poter garantire al paziente tutto il tempo necessario al recupero, in qualsiasi momento.
Dal punto di vista tecnico, il progetto è stato sviluppato da un team di giovanissimi ricercatori guidati da Maria Chiara Carrozza. “Siamo partiti dal gomito perché è abbastanza semplice, o almeno così pensavamo”, dice Nicola Vitiello, ricercatore in Biorobotica intervenuto durante il forum tecnologico NIDays 2012 apertosi a Roma lo scorso 29 febbraio, e organizzato da National Instruments, membro del team del progetto Neuroexos: “Questa articolazione, infatti, compie un solo movimento, ma riprodurlo e trasferirlo nel corpo umano non è banale come potrebbe sembrare: quello che vogliamo non è una mera esecuzione programmata di un movimento, ma un robot intelligente dotato sistemi di controllo, che sappia adattare il proprio comportamento alla risposta del paziente, in maniera flessibile. Che si comporti, insomma, come un fisioterapista”.
C’è da dire che i percorsi riabilitativi sono ben studiati e la letteratura scientifica viene in aiuto agli ingegneri. Ci sono dei parametri, per esempio, che permettono di stabilire precisamente il grado di resistenza dell’arto al movimento, e di agire di conseguenza. Il lavoro dei ricercatori è stato quello di incorporare tutta questa conoscenza in una macchina e nei software che la animano.
Ed eccolo qui. Il robot (siamo al secondo modello) avvolge il braccio ed esercita leggere pressioni; è anche dotato di un sistema tattile, ovvero uno strato di silicone che incorpora numerosi sensori: tante piccole celle di carico che percepiscono a loro volta la pressione dell’arto lungo ogni direzione (si tratta di una tecnologia uscita interamente dalla Scuola Sant’Anna e ora oggetto di brevetto). “Il livello di sensibilità può essere settato, e questa è una delle cose che ci è costata più fatica, ma che rende la macchina molto flessibile”, spiega Vitiello.
Per il momento, la parte di attuazione del movimento (il braccio-robot vero e proprio) e di controllo (il computer) sono due moduli separati, perché la tecnologia non permette ancora la miniaturizzazione necessaria affinché tutto sia contenuto nell’esoscheletro, in un sistema leggero e realmente portatile, oltre che indossabile. Intanto, comunque, i ricercatori sono già al lavoro su altri due esoscheletri: della spalla e della mano. I primi prototipi di quest’ultimo sono del 2009-2010 e nel giro di due-tre anni potrebbero essere pronti per un nuovo studio clinico.
Per avere, invece, un robot indossabile che assista le persone nelle normali azioni di tutti i giorni servirà ancora molto tempo. “Anche ammesso di riuscire a creare un esoscheletro perfetto, questo non dovrà più essere un trainer, ma un sistema in grado di percepire le intenzioni motorie delle persone in tempo reale. Servirà, cioè, un’interfaccia mente-macchina non invasiva”, spiega ancora Vitiello.
Ovviamente, al Sant’Anna stanno lavorando da tempo anche su questo e sono appena partiti due nuovi progetti europei, uno sull’arto superiore, l’altro su quello inferiore. La filosofia è questa: si parte dall’osservazione del movimento del corpo e si estrapolano le intenzioni motorie dell’individuo a partire da specifici segnali elettromiografici ed encefalografici, che devono essere intercettati senza ricorrere a sistemi impiantabili (leggi elettrodi). Non solo è un compito arduo di per sé, ma esistono enormi differenze tra l’arto inferiore e quello superiore. Il secondo è molto più difficile da “anticipare” e il progetto che sta cercando di capire come superare tutti gli ostacoli si chiama Way (Wearable interfaces for hAnd function recoverY), per il recupero della funzionalità della mano post trauma.
In pratica, si tratta di riuscire a controllare con il cervello una protesi o un esoscheletro, per garantire un’assistenza reale a chi ha perduto la mano in un incidente o in chi ha le capacità motorie di questa parte del corpo danneggiate. Il punto di partenza è il bagaglio di conoscenza acquisito in molti anni (vedi Galileo, La mano robot che si muove col pensiero , Il cervello comanda, la mano bionica esegue, Da Pisa una mano low cost). Si serviranno dei modelli già utilizzati e di un nuovo esoscheletro (che dovrebbe essere terminato entro i prossimi due mesi). Qui, però, si parla ancora di ricerca di base, di prototipi che restano all’interno del laboratorio. “Lavoriamo con tecnologie che non esistono: partiamo da un foglio bianco e dobbiamo cercare nel più breve tempo possibile di dimostrare che l’idea può funzionare”, conclude Vitiello.
Credit per le immagini: Massimo Brega – Scuola Superiore Sant’Anna
Sono circa 10 anni che il Dr . Luigi Foggia ed io ci interessiamo dell’argomento con l’obiettivo di mettere in moto i paraplegici. Guardando con maggiore attenzione ai potenziali premorirò evento correlati e’ possibile considerare attendibile e percorribile l’idea di industrializzare neuro protesi in grado di spostare nello spazio circostante soggetti con gravi lesioni. L’utilizzo di Sistemi BCI per il rilievo dei BSPotential, strutturalmente collegati ad una rete di intercettori EMG wifi permetterebbe contemporaneamente di rilevare i potenziali d’azione relativi all’intenzione di voler svolgere una funzione motoria e l’attivita muscolare del distretto corporeo interessato, tutto ciò in stretta sinergia e sincronizzazione con l’esoscheletro può permettere al sistema robotico di funzionare correttamente.